lunedì 30 dicembre 2013

Ad un tratto

N

on era programmato questo post ma sai, è come quando ti prende l'istinto di chiamare un amico, un’ amica con cui vuoi confidarti; e lo vuoi fare subito perché ne senti un tremendo bisogno. E io con chi lo faccio? Con chi se non con te, perché per quanto io dia il massimo per mantenere un'apparenza quasi normale, non sono tranquillo. Ecco sai, in questi giorni sono molto agitato, preoccupato, ansioso. Vedo i miei. Faccio tante congetture, anziché vivere la giornata; nella mente si affollano pensieri cupi, immagino situazioni e contesti che vorrei fossero lontanissimi ed invece li dipingo come se fossero attuali. Ti rendi conto a cosa penso quando manca un giorno alla fine dell'anno? Ti pare normale? Poi mi faccio male e sfoglio a caso album di fotografie sulla piazza virtuale. Mi chiedo come mai non sono lì, al posto di quella gente sorridente (e un po' idiota). Ci si mette pure l'invidia. Avrei bisogno di una bella secchiata d'acqua gelida in testa. Vorrei solo che domani, quando mi ritroverò attorno ad un tavolo pieno di gente che non considero nemmeno un giorno all'anno, arrivasse subito la mezzanotte. E poi via, a casa. Prova superata e si ricomincia. E' del tutto normale che mi passino tutte queste belle paranoie per la testa, normale e consequenziale di un altro anno passato a sopravvivere, un treno qui l'altro là e poi casa, solo casa. Non ricordo l'ultima volta che sono uscito per una pizza. Forse la scorsa primavera? Tu dirai che sono io a non volermi aprire, ma come faccio? Non esiste nemmeno più il punto di non ritorno dal quale poter ripartire, perché il fondo scivola sempre più giù ed io sto diventando un uomo paziente. Con tanta voglia di piangere, ma che vuole conservarle, le lacrime. Depresso, esaurito, stanco? Scivolano le parole stasera, senza vergogna, io non ho paura di nulla. Non avrei voluto fare bilanci, tirare somme ma ritrovandomi qui, un foglio bianco e la solita tremenda voglia di parlare, non ce l'ho fatta a resistere. L'amico/a del cuore sei sempre tu, senza voce o sguardo ma pur sempre ottimo ascoltatore, fedele ascoltatrice. Si, so che sono paranoie da fine anno, so che bisognerebbe solo pensare al fatto che intanto invecchio e non ho fatto nulla per essere felice. Questo è il punto. Ma volevo lasciare scritto il mio pensiero di oggi, sempre più vero, emozionato, intenso. Buon anno Enzo, nel tuo piccolo mondo ce la farai anche questa volta.




domenica 29 dicembre 2013

Vorrei ma non posso

D

a quando ho aperto il blog, il buon proposito per l'anno a venire è sempre stato lo stesso: chiuderlo. Inconsciamente ho sempre ritenuto che, abbassato il sipario sui miei pensieri, avrei ricominciato a vivere. O forse il contrario: l'aver ripreso confidenza con la vita, avrebbe inevitabilmente portato alla scomparsa del diario. Chissà. Ora che mancano due giorni e questo malefico anno se ne andrà, il proposito ritorna. Vorrei chiudere qui. Vorrei, ma non posso. O se lo facessi, dovrei cambiare pelle, mutare il punto di osservazione, guardare oltre la spessa cortina che mi separa dal mondo. Scrivere è una malattia. Il blog mi ha aiutato, poi si è ripiegato su se stesso in perfetta sincronia con i miei turbamenti e le mie contraddizioni. Ora non mi serve più e vorrei disfarmene. Dovrei fare un operazione di marketing: se ne aprissi uno di cucina? Oppure uno nel quale racconto stronzate quotidiane che non attengono alla mia persona ma alla moltitudine di quelli che mi ronzano intorno? Avrei più lettori? Ma non punto al successo. Punto a stare bene. E io come sto? Ma sto bene, credetemi. Fine del ciclo di puntate della serie: “ alla ricerca di un senso”, termine della saga de: “la guerra contro il mondo”, scena finale del ciclo: “ il virtuale è una merda come chi lo popola”. Sto bene, pulito, sbarbato e rassegnato. Mi basta. Ora i pensieri stanno prendendo ben altra direzione, qualcosa di cui difficilmente riuscirò a sbarazzarmi e che sicuramente eviterò di rendere pubblico. Anche quest'anno sono giunto alla considerevole cifra di quasi duecento post. Un record se si pensa che non è da tutti riuscire a distribuire tante parole senza dare loro un preciso significato. I buoni intenditori, come definisco quei santi che ancora riescono a leggermi, lo sanno. Io dico e poi smentisco, affermo e poi nego con la classe del migliore ipocrita. Mi sono messo a nudo senza vergogna, senza paura di passare per depresso, disfattista e quant'altro. L'ho fatto ( e forse continuerò a farlo ) senza maschere. Perché questo sono, e già sapevo di essere. Già. Lo sapevo come ben conoscevo l'inutilità dell'azione umana e dei buoni propositi di chi ha provato ad aiutarmi. Io, il mio alibi, il mio blog. Il coraggio di un pusillanime che non sa vivere. Vuoi vedere che non lo chiudo neanche questa volta?




giovedì 26 dicembre 2013

Un ospite discreto

S

o bene che non è educato parlare degli assenti, ma non sono armato di malevole intenzioni, giuro. Natale è appena uscito, in punta di piedi così come era arrivato. E non è stato affatto un ospite sgradito, anzi l'ho apprezzato per discrezione e tatto. Lui, poverino, non ha colpe se (ormai da tempo) non mi comporto nei suoi confronti da perfetto padrone di casa. Banditi i tappeti rossi, le cianfrusaglie e addobbi vari, auguri con il contagocce. Tutto è andato bene, senza proclami, senza facili entusiasmi e stupidi baci sulle guance. Non ne avevo bisogno e chi invece ne ha, non deve aspettare Natale per poter sentire la mia presenza. Se n'è andato e va bene così. Ho l'impressione che, nonostante la mia pessima considerazione per il virtuale, qualcuno abbia finalmente recepito e compreso il messaggio subliminale. So di generalizzare con troppa facilità ma quasi sempre le frecciate hanno precisi destinatari; e mi scuso con chi (giustamente) ritiene di non avere ragioni per sentirsi tirato in causa. Ho ottenuto silenzi chiarificatori e mi auguro che l'evento ipocrita per eccellenza abbia rappresentato il momento ad hoc per capire chi o cosa non dovrà più far parte della mia vita. Mi sento indotto a fare una vera operazione di pulizia ma così facendo, cadrei nell'errore di supervalutare una lista del tutto simbolica. Ho la netta sensazione di aver scavalcato il muro del silenzio (mio e altrui) e che sia giunto il momento di riprendere il cammino. La fine di un anno non significa lasciarsi tutto alle spalle, dimenticare e azzerare. Finire di farsi seghe mentali però, si. La piazza virtuale continua ad essere una sorta di cavia su cui poter sperimentare senza limitazioni; la condotta umana è di per sé incomprensibile nella realtà, pensate cosa può diventare se mediata dal privilegio dell'invisibilità e aggravata dalla diffusa disonestà intellettuale. Datemi dunque dell'apprendista psicologo dei pazzi, del voyeur, dello sfigato che non ha di meglio da fare;studiare gli altri mi affascina, capire fino a dove mentire a sé stessi può generare un beneficio. Ho una grande autostima e so che chi mi perde, butta all'aria un'occasione autentica, unica. Ma dove sto andando a parare? Voglio forse lasciar intendere che nessuno è in grado di apprezzarmi? Voglio tornare a dire che sono il solito incompreso? No. Voglio ribadire (mi perdonerete la scivolata scurrile) che la gente non capisce un cazzo, o almeno è sempre troppo presa da sé per afferrare i concetti. L'egoista sarei io? Gli egoisti siete anche voi. Ma sulla piazza potrete persino passare per onesti.



lunedì 23 dicembre 2013

La volpe e l'uva

N

on voglio passare per il solito che ama distinguersi dalla massa; tuttavia se affermo che a me del Natale non frega nulla qualcuno inevitabilmente si stupirà. Non vorrei nemmeno passare per la volpe di turno che, non riuscendo a raggiungere l’uva, abbandona il campo dicendo che non è buona. Quell’uva potrebbe essere la tanto desiderata serenità, quella che non va cercata alla fine di un percorso ma vissuta giornalmente. Ma è risaputo, a Natale questa parola è sulla bocca di tutti, belli e brutti, sinceri e ipocriti, buoni e cattivi. E mentre la gioia sembra trionfare nelle case del mondo, tu ti ritrovi lì con gli stessi pensieri di sempre, la stessa solitudine senza riuscire a mentire a te stesso. Gli altri si fottano ma tu non puoi dire che sei sereno; dunque Natale è un giorno come gli altri. Questa è la mia arringa, ho cercato di difendermi e di non passare per invidioso, poi chi non è d’accordo si arrangia. Quest’anno passerò tredici giorni a casa, riprenderò a lavorare il sette di Gennaio. Liberazione oppure incubo? Sono tranquillo nella misura in cui vado d’accordo con i miei pensieri e non faccio finta di apparire sereno. Forse sereno è una parola grossa, chi è solo non è mai felice, magari semplicemente rassegnato. Ancora una volta infatti, alla fine di un ciclo di dodici mesi, mi ritrovo con un pugno di mosche in mano anzi, più che mosche parole e promesse. Le solite, e ho deciso di riderci sopra. C’è un’altra soluzione? Questi ultimi giorni non sono stati facili. Al lavoro come a casa si parla troppo di vite che se ne sono andate o sembra stiano per andarsene. Lo stomaco si chiude, qualche discorso mi abbatte, non riesco a trovare vie di fuga. Ma come si fa ad essere sereni? Ma viene davvero spontaneo dire : “Ma chissenefrega del Natale!” E vadano a quel paese quei bontemponi che diffondono immagini e pensieri pieni di bontà. Ecco, sono invidioso? Ma no, solo riflessivo e realista. Non posso negare la felicità a chi felice lo è davvero oppure si sforza di esserlo. Allora la conclusione è che io non la voglio, la serenità. Vedete, la colpa è mia no? E va bene sono io il primo responsabile della mia infelicità ma, almeno a Natale vorrei poter non vedere od ascoltare esaltazioni della felicità, inni alla gioia e via dicendo. Mi aspetto (e ne sarei grato) un silenzio costruttivo e coerente da parte dei soliti pseudo-amici. Poi tutto ricomincerà daccapo, i cieli si faranno sempre più blu e non avrò bisogno di raggiungere l’uva. E’ solo Natale, poi passa.



mercoledì 18 dicembre 2013

Meravigliosamente naturale

N

atale, tempo di bilanci. Ma anche no. E’ il momento del confronto, di fare un salto indietro nel tempo, al vecchio Dicembre 2012. Questo si che è un lavoro costruttivo. Non è dal resoconto che si può trarre una lezione, molto meglio capire cosa siamo diventati alla scadenza dell’ennesimo anno di vita. Oppure cosa siamo rimasti. Qualche rughetta in più, i miei genitori più stanchi, il tempo che ci ha preso ancora tutti per il culo. E dentro? Cos’è cambiato? Ricordo bene dove stavo un anno fa, di questi tempi. Ero dentro di me, prigioniero della mia scatola, cercando il senso di qualcosa. Non negativo, non pessimista, solo riflessivo e, a rendermi le cose più difficili, il male comune. Ho ben capito in questi ultimi mesi che, quando ti stai contorcendo su te stesso non c’è nulla di peggio che trovare sul cammino qualcuno nella tua stessa condizione. Ma quale aiuto, quale solidarietà. Illusioni di un momento, una fase da percorrere insieme cadendo nell’errore più banale e imperdonabile che si possa commettere: confidarsi, sciogliere le proprie debolezze dandole in pasto a qualcuno che da lì a poco, ne farà una pallottola da buttare nel cestino. E allora tutto si ridimensiona, a cominciare dalla sciocca supervalutazione di un mondo fatto di sagome senza anima e desiderose solo di mostrarsi. Ma perché prendere tutto questo sul serio? Eccola la stronzata. Il confronto è bello che fatto: non ci sono paragoni, non c’è storia, io ora sono un superficiale all’occorrenza. E credetemi, dal momento in cui sono riuscito a concepire il mondo virtuale come qualcosa di simile alle parole incrociate od il sudoku, tutto è cambiato. E non è cosa da poco. Sto continuando a prendermi sul serio, da questa malattia non si guarisce, ma non ho più bisogno di alcuna maschera per risultare stupido e superficiale. Viene tutto meravigliosamente naturale. Finita la guerra contro il mondo, finita la battaglia di messaggi subliminali verso Tizio o Caio. Non hanno orecchie oppure se le hanno, alzano la testa e guardano per aria. Caffè, anima, cuore, incontro, promessa, solitudine, sto con te, ti capisco, siamo nella stessa barca. Che noia, davvero. Ed ecco Natale, e d’improvviso una parola: “Auguri”. Svalutata, violentata, svenduta come tante altre, tanto è solo una parola: come amicizia, amore, cuore, e via andare. Mi arriveranno anche quest’anno. So già come reagirò. In modo meravigliosamente naturale.



sabato 14 dicembre 2013

La qualità del momento

I

l tempo ci frega. Quanto ne sprechiamo mentre siamo in tutte le nostre faccende affaccendati? Abbiamo a disposizione miliardi di parole. Quante ne buttiamo nell'affermare cose ovvie, senza alcun senso? Cosa ci resta? Poco. E' dunque importante puntare alla qualità, andare dritti allo scopo. Mentre maledivo la settimana appena trascorsa (arrovellandomi nel capire se e come sarei tornato a casa alla fine del lavoro), mi permettevo il lusso di dedicare pochi minuti alla riflessione seria. Minuti miei, intimi. Troppo esiguo il tempo e tanta la stanchezza per poter mettere nero su bianco. E ti accorgi che in realtà non riesci più nemmeno a sopravvivere, se manca la qualità e l'essenzialità di un momento. Possiamo ritenere vita tutte le ore che dedichiamo al lavoro? Ci dà da mangiare, è importante. Stop, però. Cosa resta? A me ad esempio questo blog. E chi me lo dice che anch'io in questo istante non sto buttando parole in aria, mentre potrei arrivare al dunque e dire cosa penso, tutto e subito. Ho picchi di grande coraggio che restano imbottigliati nel cervello, nel pensiero di un istante, in un'espressione rabbuiata mentre qualche immagine ti attraversa la mente. Sono un potenziale bastardo o meglio, un sincero incompiuto. C'è tanta onestà intellettuale in me, ma anche una grande voglia di ricompensa. L'odio verso l'umano si è decisamente attenuato e non sono servite maschere, alibi, o illusorie prospettive di cambiamento. Tutto naturale. Non posso certo pretendere di diventare un agnellino perdonando le assenze, i silenzi, ma non posso più permettermi di espormi, di mettere in piazza debolezze o piagnistei. La mia riflessione di stasera non punta a constatare e a denunciare (se ce ne fosse ancora bisogno) l'altrui egoismo, la cronica ipocrisia. Che barba questi discorsi, non c'è più bisogno di ricordarlo. Queste righe solo per dire che la qualità del momento è vita vera e propria , di certo non la ricerca ossessiva della felicità intesa come percorso. Non so se sto sprecando tempo e parole, ma il solo fatto di riservare queste poche righe e questi minuti ad una riflessione è sintomo di vita. Non è un caso che al di fuori di questa stanza io abbia deciso di prendere finalmente la forma del mondo, abbracciandone la banalità, avallando comportamenti idioti e falsi, senza mai esternare nulla se non perfetto equilibrio. A fronte di tutto ciò, viene naturale che l'umano ti senta diverso. Sembra ormai inevitabile il distacco, l'assoluta indifferenza. C'è poca umiltà. Da quanto tempo qualcuno non si rivolge a voi dicendo: “Scusa, hai ragione”?




martedì 10 dicembre 2013

Tempo da conigli

O

ra capisco quelli che, ritrovata la strada perduta, decidono di andarsene. Poco importa se tu nel frattempo sei ancora nella merda, frega ancor meno di sapere se annaspi, se stai affogando oppure se anche tu nel frattempo, sei riemerso. Li capisco e non li biasimo. Un tempo li avrei odiati, mi sarei lasciato travolgere dall’istinto e avrei detto loro ( uno ad uno ): siete delle merde, quel che vi rende indegni di stima è la vostra codardia, la mancanza di palle. Non sento più niente, forse indifferenza. Me ne rendo conto, perché io stesso ho percorso strade con persone che poi ho miseramente abbandonato, appena vista la luce. Ma l’ho mai vista io la luce? E il tunnel, esiste oppure è una costruzione mentale? Nostro malgrado, se la vita comincia a volerci bene dimentichiamo quel “mal comune mezzo gaudio” su cui si fonda gran parte delle amicizie virtuali. Ne è il motore, l’elemento che innesca la scintilla, e allora tutto sembra bello, tutto umano, la solidarietà trionfa. Fino a quando poi qualcuno dice di aver scoperto la luce e allora, chissenefrega. Muore ciò che non è mai nato, che pesa quanto una piuma, l’idea di un’amicizia. Riflessioni post-weekend, da treno ghiacciato mentre torni a casa e pensi che a volte la vita ti abbraccia. E in quell’esatto momento tutto si scioglie come neve al sole; come flash ti attraversano la mente parole, discorsi, progetti che non avevano senso di esistere ma che hai pronunciato, immaginato e non sai perché. Da tempo dico che non avrei nemmeno più bisogno di stare qui, di dire qualcosa che vada al di là del mio intimo; parlare degli altri è tempo sprecato, ma non perché non vieni ascoltato ( letto, in questo caso). La ragione sta nell’abitudine diffusa alla comodità del sapere potendo avvalersi della facoltà di non replicare. E’ ormai tempo da conigli. Invidio chi realmente sente di aver raggiunto la serenità prescindendo dall’interazione umana. E lo capisco. Ma non riesco a crederci, perché qualcuno o qualcosa subisce sempre un danno dalla tua felicità. Chi crede di aver trovato la via giusta, vantandosi di averlo fatto da solo, ha inevitabilmente provocato sofferenza. Perché se è vero che si può essere felici anche da soli, è altrettanto sacrosanto che a questa conclusione si giunge lavorando su se stessi ma, ripudiando ogni genere di contatto. E gettando nel dimenticatoio chi, nel suo piccolo, ti ha aiutato. Mea culpa, tua grandissima culpa.



mercoledì 4 dicembre 2013

Senza tatto

S

tanotte ho fatto un sogno. Lo ricordo molto bene e non mi stupisco di ciò dal momento che ero protagonista principale della vicenda e la sentivo mia come fosse vera. Piangevo a dirotto e inevitabilmente cercavo aiuto ottenendo per tutta risposta assenza oppure indifferenza. Ero triste all’idea che qualcosa nella mia vita sarebbe cambiato, non ricordo se attenesse al lavoro oppure alla sfera privata. Il fatto è che avvertivo realmente lo scoramento, il disagio, la sofferenza. Di colpo ho alzato la testa cercando le cifre rosse del display della mia sveglia: segnavano le 5 e 36. Mi sono portato il sogno in bagno, mentre facevo colazione, quando intirizzito percorrevo il viale della stazione. E poi in treno. Il subconscio non ha modi, né tatto. Bussa, anzi scardina le porte della vergogna, del timore, della paura vera e propria. Ti viene a trovare e poi ti spiattella tutto lì, sotto forma di immagini. Da mesi porto con me una reale paura di perdere qualcuno che inevitabilmente si accompagna al terrore di dovere, prima o poi, veder cambiato un certo percorso che al momento sembra sicuro. Non posso permettermi certe debolezze a quest’età. Ma sapete, forse sono già preparato. Lo stesso accade sul lavoro: la prospettiva di un cambio radicale mi terrorizza. Io non so camminare sulle mie gambe, questo è. La fase è contraddittoria: riesco ad essere assolutamente superficiale, anche simpatico ma ho momenti di grande riflessione interna che non estrinseco in modo ripetitivo. In altri momenti ho fatto l’esatto contrario: mi sentivo sereno ma esternavo pensieri e riflessioni pesanti. Non mi capisco ma la cosa non mi meraviglia più di tanto. Sono alla disperata ricerca di una soluzione: a cosa devo pensare per scacciare certi fantasmi? Forse magari E. potrebbe aiutarmi. Sto valutando di tornare a trovarla, sono sicuro riuscirebbe a rimettere un po’ in sesto questa macchina traballante. Continuo a sentirmi una roccia, fisicamente mi sento bene, sul lavoro dò il massimo. Poi c’è il resto, questa testa fragile prigioniera della solitudine. Ci pensavo ieri: vuol dire molto avere la possibilità di parlare, di spezzare i ritmi di una vita monotona. Abituarsi a non avere vie di fuga serve ad autoconvincersi che si è fatto tutto il possibile. Vero. Ma so che mi merito anche solo un briciolo di aria, tutto sembra così difficile, devo trovare la soluzione.




lunedì 2 dicembre 2013

Il mio momento

V

orrei davvero credere che la lontananza dal blog (ovvero la mancanza di argomenti) rappresentasse l’avvicinarsi alla linea del traguardo. Forse questo diario è già morto ed io non me ne accorgo, forse dovrei darle un’impronta differente. Non posso prescindere dal foglio essendo l’unico mio confidente, ma non nascondo che vorrei ( e potrei ) riempirlo di ben diversi contenuti. Sapete, io da pendolare ho un’infinita collezione di situazioni che potrei tradurre in brevi racconti per poi magari trarne anche qualche insegnamento. Da tempo ripeto che dovrei alzare lo sguardo, puntare gli occhi su ciò che mi circonda e perché no, scriverci al riguardo. Fino a quando cercherò nel profondo di me stesso, questo diario manterrà un’impronta intimistica senza via d’uscita. Confesso di non essere capace di tradurre in parole situazioni e circostanze che nulla hanno a che vedere con me, ma questo blog sta morendo nella misura in cui io, sto guarendo. Sono fuori dal tunnel. Si lo sono, e non mi vergogno più quando penso che non ho più domande da pormi, nessun quesito esistenziale. La colpa di chi è? Ma del mondo, ovviamente. Ma nessuna battaglia, niente crociate contro il genere umano, semplicemente penso di aver provato a capirlo analizzandolo in tutte le mille sfaccettature. E dico grazie a molti. Recentemente, non più di qualche mese fa, mi è capitato di conoscere le ultime persone da cui speravo di poter apprendere qualcosa, soggetti che in apparenza (solo in apparenza) sembravano vicini alla mia idea di vita, al mio archetipo di relazione amicale. Non me la sento di giudicarli, sono convinto del fatto che, conosciuti in un ambito diverso da quello virtuale, avrebbero potuto essere veri. Ed è finalmente arrivato il mio momento: ora posso giocare, passare per un uomo superficiale disilluso dagli umani ma non per questo arrabbiato. Sto bene anche nella mia normalità. Cosa serve urlare? E cosa voler a tutti i costi dare un’immagine di sé seriosa, cupa e pensierosa? C’è un Enzo che merita solo Enzo, ed è con lui che mi preme sempre sciorinare le problematiche quotidiane, i malesseri, i pensieri cupi. Spiace dover essere arrivato a queste conclusioni, ma sto vedendo la linea del traguardo sempre più vicina. Temo per il blog. Sono contento di me.



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