giovedì 7 marzo 2013

Il sacco

D

iciamola tutta. Analizzare se stessi è un gioco perverso e crea dipendenza. La fila era lunga, lunghissima e bene o male al momento della distribuzione ognuno avrebbe dovuto accettare ciò che passava il convento. Quando sono arrivato davanti a lui, ho aperto il sacco e ho lasciato che ci lasciasse cadere dentro ciò che aveva riservato per me. Ho fatto spallucce e me ne sono andato. La regola era: “Non potrai sapere cosa porti nel sacco fino a quando non avrai ragione a sufficienza per apprezzarlo”. Penso sia andata proprio così, sapete? Perché sono passati quarantaquattro anni e sei mesi da quella lunga fila ed ho finalmente scoperto cosa contenesse il sacco. Quintali di masochismo, un’infinitesimale dose di autostima ed un cervello ingombrante. Ora che sono un uomo cresciuto e ho ragione a sufficienza, dovrei cercare di cogliere il lato positivo di tutto ciò. Devo capire in buona sostanza perché, viaggiare al centro di me stesso, pur provocandomi dolore contribuisca al mio miglioramento. Evidentemente lui, già ben sapeva quale sarebbe stato il mio percorso e che prima o poi avrei finito per parlare di me, solo di me e soprattutto, solo con me. Ecco perché ho la netta impressione di sbagliarmi quando mi capita di non sentire il bisogno di scrivere, di parlare di me, di verificare lo stato del motore. Ciò nonostante ho ipotizzato che possa essere dovuto a recenti occasioni di dialogo “de visu” grazie alle quali ho avvertito molto meno il bisogno di esternare attraverso la scrittura. Ma come vedete sono nuovamente qui, a scrivere del perché non ce la faccio a non scrivere. Parlare del sottoscritto mi provoca un piacere quasi orgasmico. Grazie a questi fogli ho il privilegio di non passare per un cattivo ascoltatore, quale in realtà sono. Io e il mio sacco. Era un tempo nel quale avevo un ottimo orecchio per le piaghe altrui: pur sapendo di non aver l’animo sereno per farlo, lasciavo fossero gli altri a farmi male con la loro sofferenza, i loro malesseri, le loro turbe. Il mio sacco parlava chiaro: toccava a me. Poi la solitudine ed ecco di nuovo pronto il sacco. Ora parlo io, e lo devo fare con me stesso. Non si scappa. Trovare una ragione plausibile per apprezzare le parole altrui e, oggi le mie non è facile. Ma credo sia il modo migliore per liberarci delle maschere e respirare un po’ di vita, la nostra, come noi la intendiamo e non come gli altri vogliono farcela intendere. Mi tengo il masochismo, mi tengo la scrittura, mi tengo stretto anche quel briciolo di autostima. Il cervello lo butterei nel cesso.

 
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