martedì 5 marzo 2013

Alle sei

A

lle sei di stamattina la mia giornata aveva già preso una piega intimistica e riflessiva, più del solito intendo. Un mio vecchio amico di infanzia mi aveva appena parlato del suo anziano padre, di come i medici lo avessero avvisato di “tenersi pronto” all’eventualità. Una fitta allo stomaco poi, mio malgrado, prendevo la strada della stazione. Il solito treno, il solito viaggio. Ordinarietà. Complice il finestrino piuttosto sporco e la nebbia Marzolina che velava il panorama, sono partite le riflessioni. Tutto scontato, tutto retorico, le solite considerazioni del caso. Dapprima ho riavvolto il nastro della mia vita fino ad un paio di anni fa cercando di risentire la stessa fitta allo stomaco di allora quando diagnosticarono il cancro a mio padre; per sentire più dolore ho provato a ricordare cosa mi passò per la mente in quei frangenti. Non potevo sapere se e quando certe emozioni, sarebbero svanite. A quel punto ho nuovamente impostato l’avanzamento veloce e sono tornato alla nebbia Marzolina. Cosa ho imparato in questi due anni? Ho scordato quello che provavo? Non ricordo le paure di allora? Perché ho continuato a farmi seghe mentali per la mia condizione? Ho pensato che la ragione può essere duplice: abbiamo una cattiva memoria oppure si tratta semplicemente di istinto, istinto di sopravvivenza. Non voglio credere o meglio, mi tocca credere a più versioni, e soprattutto a quella secondo cui il dolore, più dell’amore, dovrebbe come si dice ”fortificare”. Perché non c’è esperienza umana più umana della sofferenza, del pianto, della forzata accettazione dell’ineluttabilità. Cos’è l’amore al confronto? Nulla. Tutti o quasi possono vantarsi di amare, di averlo fatto e di volerlo ancora fare. Tutti o quasi possono altrettanto bearsi di essere amati. Tutti devono soffrire e non c’è motivo di vanto nella sofferenza. C’è una bella differenza, non credete? In quel “devono” c’è tutta la miseria umana acuita dall’impotenza. Ma cosa c’è di ancor più misero ed umano del dimenticare? Ecco, io che cerco quotidianamente una spiegazione ad ogni gesto, parola, azione ed omissione, ho un’altra risposta mancata. Perché la fugacità si misura anche nella incapacità di fare tesoro dell’esperienza del dolore. Ed io non faccio eccezione. La nebbia Marzolina lascerà il posto ai colori, basta aspettare. Questo è certo. Ed io, in questa assonnata mattina di Marzo probabilmente mi sono chiesto il perché del mondo. Lasciatemi fare, ormai sono infetto.

 
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