lunedì 11 febbraio 2013

Contatto!

N

on è di certo il luogo a fare la differenza. Ovunque io vada l’ombra di me stesso è la peggior compagnia io possa avere. E fino a che sarò con me, altrove, non avrò pace. Ogni volta che provo ad allontanarmi dalla gabbia in realtà porto la gabbia con me. Quale uccellino non desidererebbe altro che riuscire ad aprire la porticina e volare libero? Ma chi lo dice che alla fine, non decida di tornare là dove ormai si era così ben abituato a vivere? Il povero uccellino accetterà di buon grado che le proprie ali non sono poi così utili alla causa, se il mondo in cui vuole vivere è la gabbia. E così io, tanto desideroso di fuggire ma ancor più bramoso di tornare. Non agogno la fuga, desidero con tutto me stesso, il ritorno. Non miglioro, non peggioro, sono stazionario. E pure stanziale, abitudinario, solitario, immobile. Quelle rare volte in cui metto il naso nel mondo avverto un odore forte, fastidioso, mi sento spintonato a destra e a sinistra, perdo il senso dell’orientamento, barcollo. Si può perdere tempo in tanti modi, io amo farlo guardando per aria, fissando il mio caro punto nel vuoto piuttosto che sentirmi un’entità, tra i corpi. Non voglio autoconvincermi di avere possibilità di miglioramento. Ieri, ho ritrovato il mio tanto amato finestrino. Guardando oltre lo sporco del vetro, ho ben immortalato i colori che il sole cercava di ravvivare in un estremo quanto goffo tentativo di spintonare l’inverno. Primi abbozzi di primavera. Primi pensieri colorati: la mia nuova bicicletta, una foto dai colori vividi, il mare, i vestiti leggeri. Sono andato in piazza e ho dato qualche segno di squilibrio, gridando dapprima di voler uscire dal mondo: l’ho fatto. Sono subito rientrato. Follia pura. Smetto di gridare, di dire che sto male. Attiro l’attenzione. Smetto di dire che sto meglio. Attiro l’attenzione. Non c’è intimità più intima del mio intimo per capire se sto bene oppure male. Sto. Non so se leggerlo come un segnale positivo, di reale evoluzione ma finalmente mi capisco. Comprendo le mie ragioni, riesco a far quadrare il cerchio, non c’è sprone che abbia un senso. E non solo perché realisticamente non esistono margini di miglioramento, semplicemente perché io non voglio migliorare. Mi piaccio perché credo fermamente in ciò che dico e la percezione che gli altri hanno di me conta sempre meno. So che non vivo, che nemmeno sopravvivo. Io respiro. E’ un modo semplice per dire che sono morto dentro ma solo perché corpo e anima ora si toccano. Ditemi che è poco.

 
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