lunedì 10 dicembre 2012

Paradossi

F

inalmente, dopo un lungo weekend è arrivata la tanto agognata settimana di lavoro. Convivo ormai con i miei paradossi con la stessa naturalezza con cui vivo i miei occhi, il mio naso, la mia bocca. Sono parte di me, li porto ovunque. E’ una fortuna avere un lavoro stabile, giusto? Non credo siano pochi coloro i quali, avendolo un lavoro, vi buttano l’anima per compensare i momenti no della vita. Così io. A dirla tutta ( e mi è motivo di vanto) ritengo siano davvero una minima parte coloro che possono vantare una seppur piccola schiera di amici nel novero dei colleghi. Io sono uno di quelli. Quando affermo il concetto della presenza fisica voglio far notare questo aspetto: i tuoi occhi, il tono della tua voce, persino i tuoi gesti più insignificanti, non sono mai gli stessi quando c’è qualcosa che ti turba. E chi lo sa, se ne accorge immediatamente. E’ questo che adoro dell’amicizia. Ieri sera mi sono raggomitolato nel letto in posizione fetale incrociando le dita delle mani. E’ una sorta di preghiera che rivolgo a qualcuno non bene identificato ogni volta in cui sento di essere totalmente indifeso. Questa mattina di tutto avrei potuto lamentarmi fuorché fosse Lunedì. Appena poggiati i piedi a terra ho avvertito una piacevole sensazione di pace, la tempesta emotiva dei giorni precedenti sembrava un ricordo. So bene che non è così, ma questo per sottolineare il fatto di come il paradosso non sia poi tale. Confidarmi, seppur con la voce rotta, mi ha fatto bene. Sono ancora un grande bambino, la cui madre ha costruito intorno una enorme campana di vetro. Provate a mettere insieme la forza trascinante di una figura protettiva, per certi versi oppressiva e quella infinitesimale di un figlio condizionabile, del tutto incapace di prendere decisioni in piena autonomia. Chi ritenere responsabile del disastro di questi giorni? La mia è una famiglia dagli equilibri emotivi piuttosto fragili. Non siamo una manica di pazzi, trattasi semplicemente di persone sensibili. E negli ultimi anni, un po’ per necessità, un po’ per virtù mi sono costruito una corazza con lo scopo precipuo di tenere su la baracca non appena qualcosa la possa far crollare. Quando ho saputo che mi avevano rubato la bicicletta, non ho reagito. Non riesco più a prendermela, l’istinto mi porta a preservare corpo e mente. Dove sta il paradosso? Mio padre ha assorbito il mio vecchio ruolo. Lui ora è fragile più di quanto non lo fossi io qualche anno fa. E in lui rivedo il vecchio Enzo. Che fare? Per il momento ringrazio il lavoro e benedico il giorno in cui è arrivato.

 
Herscher

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