giovedì 25 ottobre 2012

Il ragioniere

I

miei viaggi verso e da Torino rappresentano l’archetipo del concetto di abitudine. Gesti meccanici, ripetitivi, movimenti comandati. Le facce stanche, il suono delle porte che si chiudono. Metropolitana, treno, scale mobili e tornelli, qualcuno che si apposta per bruciare tutti sul tempo e accaparrarsi il posto migliore. E poi lo sguardo all’orologio, i palazzi ( sempre gli stessi ), i portici, gli stessi bar. Da quando anch’io partecipo al grande circo dei pendolari, ho fatto miei un incredibile numero di gesti magicamente e perfettamente scanditi dal tempo inesorabile; detta regole e non si sfugge. Quando la metro raggiunge la fermata XVIII dicembre, con scatto felino imbocco la scala mobile e con lo sguardo rivolto alla stessa fetta di cielo di sempre, mi appresto a compiere l’ultimo tratto di percorso verso il luogo di lavoro. Ho scelto di farlo a piedi, di attraversare i portici di Piazza Statuto e la via Garibaldi. In questo frangente di tempo (non più di dieci-quindici minuti) a volte mi capita anche di pensare. Come stamattina, ed ecco qui il mio post. Avrei voluto iniziarlo così: “ Non è poi vero che il mondo là fuori è il male in assoluto”. Non è vero e non è vero che come tale lo si debba combattere strenuamente fino a rimanere gli ultimi sopravvissuti. E’ invece piacevole constatare che una buona parte di persone che entra nella tua vita, dà un contributo più o meno consistente al rafforzamento o alla caduta delle tue più ferme convinzioni. Un’idea me la sono fatta e chi mi legge sa bene come la penso. Secondo la mia personale opinione il giusto compromesso tra disponibilità e rispetto per se stessi sta nel concetto di utilità; che pare brutto se posto in relazione ad un sentimento come dovrebbe essere ( e non è ) l’amicizia. Ma in fondo chiunque si incontri sul nostro cammino, inconsapevolmente ci dà una mano a capire. Il nostro pregresso è ciò che siamo ora e poco conta se siamo diventati un certo qual Enzo, o chi per esso. E come tali andiamo accettati. Se ci siamo fatti un’idea malvagia dell’uomo non è colpa nostra. Possiamo dunque accogliere, tenendo conto del fine precipuo di non cadere nell’errore. Aprirsi significa abbandonare un insegnamento e provare a trasgredire. C’è chi, come me, fa dell’esperienza un’insegnante tanto intransigente quanto giusta. Dunque, se appaio freddo è perché studio. Studio e cerco di misurare rischi e benefici. La vita non è un libro di computisteria, lo so. Ma chi mi è amico sa che per scardinarmi ci vuole pazienza. Sono onesto, metto le mani avanti. Forza Enzo, sei un grande. Nessuno ha il diritto di farti soffrire ancora.

 
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