lunedì 30 aprile 2012

Fuga per la vittoria

L
a situazione non è più sostenibile, il vaso è ormai pieno e tra poco traboccherà. Come già accennavo nel post di ieri, neppure io so spiegarmi il motivo per cui chiedo giorni di ferie. Questo ponte a me non serviva. Nemmeno il giorno dopo la festa. Li ho chiesti, ho sperato di ottenerli. Senza una ragione particolare. Sono tante le cose che faccio senza un senso preciso, e tutto questo è sintomo di una grande confusione mentale che mi sta trascinando via. Non riesco più a passare giorni in casa, mi sta stretta la convivenza con i miei. Sto facendo pressioni affinché si convincano del fatto che a breve me ne andrò. Attenzione, mi sento di dare un piccolo avvertimento a coloro che, anche loro malgrado, si trovano a vivere con i genitori, nonostante un’età non più giovane. Sappiate che purtroppo pagherete (sempre vostro malgrado ) le conseguenze di tutto ciò. Avere anche uno solo dei due, oppressivo, ossessivo e via dicendo, vi rovinerà la vita. Non c’è nulla di peggio di abituare i propri genitori al fatto che starete in casa con loro per quasi tutta la vita. In questo periodo sto alzando la voce perché, devo andarmene. Ho bisogno di privacy, ma la mia più grande esigenza è avere uno spazio dove piangere liberamente quando mi va, dove incazzarmi e maledire chi mi pare e piace. Tutto questo senza dover per forza, far star male qualcuno. Si deve provare un amore sconfinato per rendersi conto della sofferenza di qualcuno. Questo amore sconfinato lo prova solo un genitore verso i figli. Ed è per questo che i figli, il prima possibile, devono rompere il cordone ombelicale che li lega a loro. In questo periodo sono molto stanco mentalmente, sono nervosissimo, provo forti sentimenti di rancore e medito vendette seppur simboliche verso questo o quel soggetto. Sono ammalato di noia, di insofferenza, di intolleranza. Lotto, voglio vivere, voglio spaccare il mondo ma, e mi ripeto ancora, non ho la benché minima voglia di condividere niente con nessuno. Non sono pronto, ho bisogno di tanta libertà. Voglio gioire e star male da solo, non sono in grado di portare sulle spalle il fardello dell’altro/dell’altra che mi sta vicino. Figuriamoci i genitori, figuriamoci che peso indicibile può rappresentare per me e per loro, questa convivenza. Ti diranno sempre che ti vogliono bene, che ti amano ma tutto vorresti meno che farli soffrire. Devo andarmene, e di corsa.

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domenica 29 aprile 2012

Eppure c’è qualcosa….

H
o deciso che non prenderò più alcun giorno di ferie, almeno fino a quando avrò la certezza di usufruirne al meglio. E per “meglio” intendo, vacanze nel vero senso della parola. Non ho esigenza alcuna di fare “ponti” o chiedere giorni per riposare. Sinceramente la storia del relax del fine settimana non regge più, neppure io ci credo. Io qui mi annoio a morte, non ho un cavolo da fare ed ora, nemmeno la prospettiva della bici mi alletta particolarmente. I più attenti, avranno notato che non ne sto parlando granché, sintomo di scarsi stimoli e poca voglia di fare. Chissenefrega se sono ripetitivo, questa è la mia pagina, se qualcuno si annoia, basta un clic del mouse. Sto scrivendo per me, questo è evidente. Mi sono rotto le scatole di sentire lo stomaco che si contrae ogni volta che so di trascorrere più di un giorno a casa. Non ho niente da fare!!!! Passo ore interminabili a guardare per aria o a diventare deficiente cliccando questo o quel sito per capire se qualcuno mi caga. Ma chissenefrega di Internet. La vita è la fuori, porca miseria! Anche la bici, come dicevo non mi sta particolarmente attirando quest’anno. E probabilmente a fine Giugno mi chiuderà anche la palestra. La voglia di socializzare è sempre ai minimi e credetemi, il discorso è sempre quello. Il circolo non è vizioso, viziosissimo. C’è qualcosa, però che non torna. Io non so come ma inconsciamente c’è qualcosa che mi rende così estraneo alla vita, incostante, a volte rabbioso, rancoroso. Oggi ho avuto il mio sfogo, e quando mi sfogo, chissà perché, mi passano per la mente tutte quelle persone che in parte ( solo in parte ) sono responsabili della mia situazione. In quei momenti alzerei la cornetta del telefono e direi : “Scusa, ho da dirti una piccola cosa: vaffanculo”. Il mio integralismo è ormai estremo. Non ho voglia di legarmi a nessuno, non voglio impegni, non sono in grado di reggere relazioni perché, come dico sempre, sto diventando sempre più un eremita. E allora, scusate, se voglio questo, perché mi sto lamentando? Ah ah , è vero, ve lo siete chiesti e me lo chiedo anche io. Mi lamento perché non so cosa voglio o forse lo so, ma quel qualcosa ancora deve arrivare. Deve essere qualcosa o qualcuno, non necessariamente deve trattarsi di una persona, potrebbe essere un luogo nuovo, potrebbe essere un viaggio importante. Ma qui qualcosa deve succedere altrimenti son guai. Questo blog lo adoro. Io scrivo, lui, mentre lo rileggo, mi risponde. E ogni volta mi dà la soluzione.

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sabato 28 aprile 2012

Capire e farsi capire

P
oi ci sono quelle giornate in cui ti chiama qualche amico. Ed è sempre un piacere. Mi rendo conto di non essere il tipo che prende l’iniziativa, che si fa sentire di tanto in tanto. Bisognerebbe dimostrarlo, quando si vuole bene a qualcuno. Purtroppo nessuno può leggermi nei pensieri ed accorgersi che coloro a cui tengo sono sempre ben presenti nella mia mente. No, dovrei agire. Non faccio alcuna fatica a gestire le amicizie “reali”. Quelle che appartengono al grande mondo di Internet sono più difficili da coltivare, sempre per il solito limite insito nella virtualità della relazione. Non ci si guarda negli occhi, non c’è interazione gestuale. Ci sono parole che compaiono improvvisamente all’interno di una chat, ci sono brevi messaggi, ma alla fine tutto è liberamente interpretabile. Quest’oggi mi è capitato di affrontare questo discorso con un amico al telefono. Sappiamo molto bene che non è affatto facile supplire alla magia di uno sguardo, di una pacca sulla spalla, di un abbraccio, attraverso un emoticon oppure un sorrisino messo lì, alla fine di un messaggio. Ma oggi ci si arrangia così. Mentre si parlava, ho ricordato i tempi delle lettere cartacee, di cui ho già trattato tanto. Che bello, ci si scopriva lentamente, oggi no. Oggi devi capire tutto e possibilmente, subito. Mi scoccia non avere la possibilità di far capire chi sono , cosa c’è dietro un mio comportamento, una reazione, un silenzio. Tutto questo, all’epoca di Internet non ti è consentito. E allora che fare? Si potrebbe anche pensare di non pretendere nulla, perché in fondo non si è obbligati a svelarsi totalmente per ciò che siamo. Noto con piacere che la mia predisposizione verso il web ed il suo popolo sta sensibilmente cambiando. La regola è come sempre: non avere aspettative. E non pensare che ci sia sempre e per forza la necessità di essere sé stessi. Come facciamo a sapere se dall’altro capo c’è qualcuno per cui valga la pena aprirsi tanto? La rassegnazione che ormai mi abbraccia totalmente, è di sicuro un ottimo viatico per il raggiungimento della definitiva riconciliazione con il tanto amato/odiato mondo virtuale. E dalla rassegnazione partono impulsi positivi a vivere anche l’asfittica ed irritante solitudine di cui soffro. Il problema di oggi è capire e farsi capire. Forse non riusciremo mai a risolverlo, a meno di accettare l’idea di essere del tutto diversi, l’uno dall’altro. 


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venerdì 27 aprile 2012

Vuoto temporale

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nche se vivo con loro, non passo moltissimo tempo con i miei. Quello della cena, come nelle migliori famiglie Italiane, è il momento nel quale ci si ritrova e si chiacchiera. Mio padre è monocorde nei suoi discorsi. Parla sempre dei tempi andati, si lamenta di come si è evoluta la società di oggi, contesta il fatto che di valori non ne esista più traccia alcuna. Lui, di fatto, è rimasto fermo agli anni 60. A lui questo mondo di oggi, non piace proprio. Ho dovuto sudare sette camicie per liberarlo dal tubo catodico. L’auto? Ancora si pente di aver dato in demolizione la sua vecchia Fiat Uno. Scherzosamente gli faccio notare che i tempi sono cambiati, che ci si deve adeguare, che siamo nel 2012. Sforzi inutili. Io non gli assomiglio, almeno caratterialmente. Ma sono un quarantenne e anch’io ho nostalgia dei miei “bei tempi” andati. Nonostante stia offrendo ai miei lettori il mio lato più oscuro, vorrei far presente che io in passato ho anche vissuto. Ho sorriso, ho persino esagerato, ho fatto di tutto meno che pensare. Sono stato un ragazzino vivace, un adolescente coscienzioso, dai venti ai trent’anni ho fatto tutto il possibile per vivere una vita di ragazzo. Poi, che dire. Eccomi qui, fermo forse a quei trent’anni, affetto probabilmente da cronica nostalgia. C’è un vuoto temporale che mi rende un quarantenne con lo spirito di uno di trenta e quello spirito è del tutto autentico. Quello spirito, vive. La mia esistenza di oggi è in totale contrasto con la realtà che mi circonda; da tutto ciò nasce la netta tendenza all’introspezione, la lamentela cronica, la repressa voglia di volare. Posso continuare su questa strada? Devo emulare il mio papà? Posso predicare bene e razzolare male? E per quanto tempo ancora? Non vado cercando approvazioni, non mi aspetto valutazioni, ma sono sicuro che se sottoponessi alcune domande a molte delle persone che mi conoscono, otterrei le risposte più variegate. Ad alcuni appaio ombroso, ad altri lunatico, qualcuno magari mi reputerà simpatico, qualcun altro logorroico. Ma di una cosa sono certo, le diverse sfaccettature producono un risultato interessante: nessuno sa chi sono veramente. Il guaio è che non lo so nemmeno io.

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mercoledì 25 aprile 2012

Sono bravo a recitare

Un tempo ( neanche tanto lontano ), giornate come queste rappresentavano l’ordinario. Discussioni infinite, toni che si alzavano con estrema facilità. E poi? E poi, io, in posizione orizzontale, al buio della mia camera, a pensare. A cosa pensavo in giornate come questa? Pensavo che nulla sarebbe potuto mai cambiare se nulla mi fossi mai deciso a fare per me. Ritenevo che il problema fosse legato alla mancanza di un lavoro stabile, e in parte avevo ragione. Ero insoddisfatto. I miei genitori non sapevano più che fare, loro non avevano alcuna colpa ma io mi sentivo un fallito. Ho sbagliato un casino di volte, non sono mai stato capace di fare una scelta. Ero ormai sull’orlo del precipizio. Ogni santo giorno la solita “tiritera”. Poi, ricordo bene cosa successe al culmine dell’ultima grande litigata. Piansi a dirotto. E mi resi conto di non essere più un uomo, capii che fino ad allora ero stato un bambino che non faceva altro che piangersi addosso. La mia vita è cambiata. Tardi, ma è cambiata. Io non me ne sono accorto e ancora oggi mi pare che nulla di nuovo mi riguardi. Quel che più mi strugge è il fatto di non essere ancora riuscito a regalare un sorriso e una parvenza di serenità a chi mi sta intorno. La ragione? Perché sono io a non sorridere e a non essere sereno. Non voglio assolutamente sentirmi dire che mi lamento e basta. Io mi lamento, eccome. Ma sono semplicemente un eterno insoddisfatto, che ha deciso di non far più niente per cambiare la situazione.  Ma posso essere libero di non volerla cambiare la mia vita? Posso essere libero di non fidarmi più di persone che non hanno fatto altro che deludermi? Devo per forza essere costretto ad agire io per dare una svolta? Ma figuriamoci. Mi piace lamentarmi allora. Mi piace dire e ribadire sempre i soliti minestroni concettuali. Non si può pretendere a 43 anni di avere gli stessi stimoli di chi ne ha 20 oppure 30. Ribadisco che uso questo blog soltanto perché scrivendo, anche se sempre le stesse cose, io sto meglio. Amo la mia famiglia, amo solo loro in questa vita. Grazie al lavoro, per la maggior parte del tempo loro non vedono quanto soffro dentro. E a loro chiedo scusa attraverso questo blog. Mi scuso se spesso fingo, se il più delle volte credono che il proprio figlio abbia raggiunto la serenità. Non è così, ma sono un bravo attore.
 
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lunedì 23 aprile 2012

Il grande calderone

In fin dei conti il vero amico non c’è mai, è sfuggente, magari lontano, si fa desiderare. Ma, statene certi, ci sarà sempre quando si tratta di passare una serata a parlar di vita, seduti su di un comodo divano magari sorseggiando vino rosso. A mio parere i sentimenti veri sono silenziosi, rifuggono i luoghi caotici dove il rumore di fondo è insopportabile e rende pressoché impossibile riconoscere le voci autentiche. Sono allergico ai gruppi, ad esempio. Di recente è capitato di iscrivermi ad uno di questi, ma sin da subito ho avvertito un certo disagio e grandi difficoltà a sostenere anche i dialoghi più superficiali. Non è una novità per me, mi è capitato qualcosa di simile anche nella vita reale. Non so da cosa nasca la mia idiosincrasia verso i grandi calderoni dove si mescolano inevitabilmente le personalità più disparate. Sono un individualista, finisco presto con l’isolarmi, e ( mi spiace riscontrarlo ) alcune volte è qualcosa o qualcuno a rafforzare il mio isolamento. Lungi da me muovere critiche al concetto di gruppo in sé, è probabile che il problema sia proprio il sottoscritto. Ma me ne sono fatto una ragione, non a caso, sto a malapena bene con me stesso. Mi sia soltanto concessa una riflessione che nasce dalla mia silenziosa e distaccata osservazione. L’individuo è un animale sociale, giocoforza per quanto solitario, deve confrontarsi con la realtà e la sua variegata mescolanza di personalità. C’è chi, per questa ragione vive male, come il sottoscritto. C’è chi, all’interno di essa finge di vivere bene. Non so se faccio più fatica io ad essere me stesso o coloro che, per il bene comune, compiono capriole per risultare socievoli e divertenti. Sta di fatto che ci si accorge subito, guardando da fuori e con obiettività, chi è vero e chi no. Chi all’interno di un calderone ci sta a pennello e chi non c’entra nulla. Mettete la mia grande incapacità nel dare continuità ai rapporti , aggiungeteci una buona dose d’incostanza ed umoralità, ecco servito il piatto dell’asociale. Probabilmente passo anche per invidioso. Ma credetemi, il solitario o colui che porta con sé un bagaglio di sensibilità maggiore, se ne sta fuori, e probabilmente è colui che più di altri è sincero. Ed in questa solitudine trova un pizzico di serenità, silenziosa. Se poi trova un divano, il vino rosso e quell’amico che non si fa mai sentire…..
 
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domenica 22 aprile 2012

Dipendenze

Quante possibilità siete disposti a concedere a chi ha commesso un errore nei vostri confronti? E a voi, quante “seconde opportunità” sono state concesse? I miei conti non tornano, e continueranno a non tornare. Urge anche in questo caso un radicale cambiamento. Oggi, “twitterando” con una totale sconosciuta si è dibattuto del solito dilemma: “Se uno è disposto a dare molto più di una singola chance venendo poi punito al primo errore, come è da considerarsi”? Lo si può definire un ostinato altruista, oppure semplicemente un coglione? Credo che la questione sia eterna e che le radici del problema stiano di casa nel nostro Dna. Può la vita avere il potere di cambiare radicalmente le nostre cattive abitudini? Possiamo avere speranza in tal senso? Se sei un accanito fumatore o bevitore, se “dipendi” dal gioco, o da qualche altra droga tu, hai una possibilità. Se invece la tua dipendenza si chiama disponibilità, amore per il prossimo, non esiste cura, caro. Perché non esiste medicina e neppure terapia alcuna in grado di combattere la mancanza di amor proprio. Tutto, tutte le nostre grane interiori, i nostri problemi di relazione, fanno le radici là, nella totale mancanza di autostima. Se io non mi amo, non sarò disposto a perdonarmi. Perché allora dovrei aspettarmi lo facciano gli altri? Come devo procedere ora? Mangiandomi un bel pezzo di cioccolata, proprio come sto facendo ora! A parte gli scherzi, ho 43 anni; ma posso stare ancora qui a parlare di cose della vita che, solitamente si imparano a 20? Mi concedete di mandare a fanculo tutti quelli che sono entrati nella mia vita negli ultimi tempi e non hanno capito un emerito tubo di niente? Col cavolo che mi troverete qui. Se la mia vita è uno schifo, piatta come un Cd, lo devo a me stesso, ne sono consapevole. Ma non potete prendervi gioco di me. Sapete cosa pensavo? Che dire esattamente ciò che si pensa a qualcuno, senza il timore di perderlo, è già un passo avanti. Adesso m’incazzo io. E voglio vedere se non sarà cosi.
 
dipendenza affettiva

sabato 21 aprile 2012

Rinforzo esterno

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opo tantissimo tempo ( forse più di un anno ), questa settimana sono riuscito ad andare in palestra un paio di volte. Inutile sottolineare quali e quanti benefici, lavorare di pesi e di corsa, mi sta portando. Vivo una fase nella quale il corpo risponde ottimamente alle sollecitazioni e mi sento davvero alla grande. Sempre più netto dunque il contrasto tra benessere fisico e mentale, praticamente inversamente proporzionali uno all’altro. La mia inquietudine interiore è ormai un dato di fatto. E’ tuttavia il momento di far breccia in questa nebbia, di squarciarla. C’è tanto bisogno di cieli limpidi, di vederci chiaro, di proseguire con idee precise e obiettivi  ben determinati.  Arrivo dunque in grande spolvero all’imminente “stagione dei pedali”, come la chiamo io. Ebbene ci siamo, credo proprio che la prossima settimana comincerò. Mi fa piacere, sono davvero soddisfatto del lavoro invernale, e non credevo proprio di arrivare ad una condizione tanto buona. E proprio stamattina mentre l’istruttore mi chiedeva se stessi bene, osservando il carico dei bilancieri, mi sono reso conto di quanto io riesca a mettere passione vera, laddove lo desidero, laddove sono gratificato da risultati. Appunto, i risultati, il famoso “rinforzo esterno”. Quello stesso riscontro che cerco negli altri, sbagliando ovviamente, ma dal quale spesso non riesco a prescindere. Niente di più insensato, lo so, perché ciò sposta inevitabilmente l’attenzione proprio sul prossimo anziché su me stesso. Se io amassi il mio essere disponibile, la mia sensibilità prescindendo dal fatto che venga no compresi, magari pure riconosciuti, forse avrei trovato la soluzione. E allora basta, è ora di finirla davvero, è ora di uscire a testa alta. Come il colesterolo, anche l’orgoglio può essere buono e cattivo. Del secondo sono completamente sprovvisto, quanto al primo invece, ne sto facendo richiesta. Smettila, Enzo, di abbassare la testa, piantala di pensare che tu non sei in grado di farcela, anche da solo. Non avere paura. Come hai sempre sostenuto, chi ti ama, ti segue. E’ assurdo, irrazionale, anacronistico credere che alla tua età tu stia ancora a pensare. Scrivilo per punizione sul blog almeno cento volte.

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giovedì 19 aprile 2012

I soliti idioti

Viene da pensare a volte, capitando su profili o foto di alcuni amici che hai perso da tempo, a quanta strada hai fatto tu e quanta invece loro. Io vedo sempre sorrisi, persone che a mio parere, sono state capaci di scegliere quando la vita le ha poste di fronte ad un bivio. Mi riferisco espressamente a coloro che sono entrati a far parte della mia vita dopo la famosa estate del 2001, quella (per intenderci) che ha tracciato un solco profondo tra l’Enzo di prima e quello di adesso. In pochi hanno percorso insieme a me gli ultimi dieci anni della mia esistenza, pochi mi conoscono veramente e, loro malgrado, non sanno chi hanno veramente di fronte. Mi sarebbe piaciuto, lungo questi dieci anni, trovare persone vogliose di conoscermi a fondo, che non si fermassero semplicemente a quello che si presentava loro in superficie. La verità è che spesso, contrariamente a quello che si potrebbe evincere dai miei scritti, io appaio una persona assai solare, sempre pronta alla battuta e allo scherzo. Dentro, è là dentro che le cose stanno diversamente. Non mi fa bene fare confronti con chi ha attraversato le mie giornate, i mesi gli anni e poi…..Ma, è più di un’impressione il fatto che alla fine loro, giunti ad un punto di non ritorno hanno deciso. Io, no. Sono al traguardo, sono giunto al termine dell’ennesima lunga fase ed è sempre quando è tardi che ti rendi conto del tempo perduto. Rivedere foto, anche se casualmente, ripensare al tempo perduto, non agevola, anzi, deprime. Mi darò qualche botta in testa per farmi rinsavire, per rendermi conto che un altro percorso si è esaurito e che si deve ancora una volta ricominciare daccapo. Sapete, a volte mi piacerebbe incontrare facce che non vedo da tempo, verso le quali ho sempre nutrito poca stima. La maggior parte di esse mi è sempre sembrata idiota, superficiale, poco capace. Sono sicuro, che le ritroverei, invecchiate si, ma felici. E allora, per concludere, ho peccato di supponenza. Ho sbagliato, perché nella mia vita ho sempre sottovalutato chi mi circondava e ora? Rivedo immagini degli stessi idioti, con la solita espressione ebete sul volto. E io? Rialziamoci, senza commettere lo stesso errore, perché questa volta, riparto solo da me.
 
 
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martedì 17 aprile 2012

Sull’autobus

Per uno come il sottoscritto che (dicono) ha il dono (?) dell’empatia, non dovrebbe risultare difficile, di tanto in tanto, calarsi nei panni …di sé stesso. Si, avete capito bene. Se mi riesce tremendamente facile immedesimarmi nell’altro, di individuare con estrema precisione “il caso umano” facendolo mio, beh, come non trovarmi a mio agio con me stesso? Ma voi conoscete il detto popolare secondo cui il calzolaio gira con le scarpe rotte? Eppure mi conosco bene, o perlomeno cerco di conoscermi quotidianamente. Ma, se fossi veramente in grado di calarmi nella mia reale sostanza, e di scoprirne le qualità, di sicuro in tutti questi anni non avrei buttato via tempo in seghe mentali. Ora, ho bisogno di fare un’operazione empatica un po’ strana. Mi serve riuscire a calarmi pienamente in quello che ero fino a poco tempo fa. Parlo dei miei “bui tempi”, ricordando che “bui” non è un errore di battitura. Ma cosa c’è di tanto piacevole a voler ripiombare in un passato costellato quasi sempre da momenti di grande sconforto? Perché farlo proprio ora che, l’autobus è passato ed io mi si sono seduto comodamente sopra? C’è del gusto…c’è. Trovatemi una situazione o condizione personale nella quale si riesce ad avere una esatta percezione della realtà e dei problemi, dunque a vivere nel modo migliore. Sappiamo bene che, quando si attraversano fasi di stanca, di sofferenza, giocoforza agiamo per necessità ed è proprio in quel momento che godiamo dei veri e rari momenti di piacere, apprezzandone la sostanza. Ora, da quando sono salito sull’autobus, la mia percezione della realtà è cambiata e ho cominciato a sentirmi “legittimato” a fare, a chiedere, a pretendere. Non sono cambiato io, solo il mio punto di vista sul mondo. Può sembrare strano, ma ho davvero bisogno di calarmi in quell’Enzo per godere di ciò che ho ora, nel modo migliore. E forse, anche i sentimenti nei miei confronti torneranno più sinceri, sentiti, quasi veri.
 
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domenica 15 aprile 2012

Do ut des

La vita può essere decisamente triste se trascorsa quasi interamente nella più totale solitudine. Non mi riferisco solo al fatto di non avere relazioni sociali, ma parlo di abbandono interiore, per cui ci si sente soli anche in mezzo a centinaia di persone. La vita potrebbe essere anche divertente se si riuscisse a viverla con sufficiente ironia, se ci si prendesse in giro un po’ di più e se si accettasse la diversità altrui come qualcosa di naturale. La vita poi, potrebbe essere anche più sopportabile se non ci fosse sempre qualcuno capace di romperti le uova nel paniere, capace di farti dubitare persino delle tue più robuste convinzioni. Quante volte ci imponiamo di non cercare alcune persone pensando al nostro benessere e mossi dall’istinto di sopravvivenza. E poi sono loro a cercarti, a voler comunque imporre la loro presenza nella tua vita e tu? Ci ricaschi. La vita sarebbe una grande cazzata, viverla intendo. Basterebbe pensare che si muore a 25 anni, che spesso è del tutto inutile programmare e pensare al futuro facendosi seghe mentali. In tutto questo panegirico, viene fuori qualcosa di estremamente chiaro. Vivere è come amare: se non lo si fa con passione, tanto vale che si rinunci. Per vivere con passione occorre porre al centro della nostra esistenza noi stessi, mai e ribadisco mai, gli altri. Non esiste alcuno in questo mondo capace di valere una rinuncia, non è mai conveniente accettare compromessi. Guai, Dio ce ne scampi; se lo facessimo, cominceremmo a prepararci all’ennesima delusione. Amare con passione. Fatelo, sicuramente ne trarrete un beneficio per voi stessi, perché nel momento in cui lo fate, sappiate che nulla è per sempre. Si giunge a conclusioni di questo tipo al termine di percorsi di vita costellati da delusioni, da anni buttati via come si sparge il sale per togliere il ghiaccio dalle strade. Si giunge a queste conclusioni perché è vietato credere nell’amore, nell’amicizia, e in tutto ciò che presuppone un “do ut des”. Emerge dunque la necessità di porre un sacrosanto schermo tra noi e gli altri, che ci impedisca fisicamente di agire e di provare qualcosa. Perché è in quel momento che noi pretendiamo una risposta. Non possiamo vivere e amare con passione se restiamo sempre in attesa di una conferma. La vita? Niente di più semplice da vivere. Se la facciamo solo nostra.
 
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sabato 14 aprile 2012

E’ il cane che si morde la coda

Sono arrivato ad un bivio, è il momento delle decisioni, quelle importanti. Se è vero che almeno in parte la nostra vita è condizionata da ciò che qualcuno chiama “caso”, altri “Dio”, altri ancora “destino” beh, forse proprio uno di questi ora mi sta dicendo qualcosa. E non posso fare finta di niente, non posso rimanere cieco di fronte a ciò che ormai ha i connotati dell’evidenza. La mia vita ha nettamente bisogno di uno “scrollone”, di un nuovo punto di partenza; quello al quale sono giunto, mi rimbalza sempre indietro. Sono diventato una macchinetta che quotidianamente fa con precisione svizzera sempre le stesse cose. E che, aspira semplicemente a qualcosa che si chiamerebbe “vita”. Non posso e non voglio più pensare che, data la totale assenza di motivi che mi tengono legati a questo luogo, a questo ambiente, a questa pseudo-esistenza, ciò debba durare a lungo ancora. Allora ti viene in aiuto Dio, il caso, il destino, chiamatelo come più vi piace. C’è un motivo se sono stato catapultato (parlando di lavoro) in una nuova realtà, in un contesto mai più immaginato. E’ vero che nulla o quasi conosco di essa: fanno eccezione, colleghi e i percorsi obbligati che mi conducono al luogo di lavoro. Un po’ poco per dire che mi sono ambientato bene. Ma io devo aggrapparmi ai segnali che ricevo, non posso fare lo gnorri. Vorrei interpretare il tutto come il piatto d’argento servito in tavola da cui non devo fare altro che mangiare. Spesso il più grande ostacolo in questi momenti è il cuore. E in questi momenti io il cuore lo odio perché non è da me, agire scegliendo il cuore. Se ho sempre condotto una vita piatta, sentimentalmente arida il motivo lo trovo proprio là, nella mia testa. Ed ora che è arrivato il momento di usarla, la testa? Mi faccio fregare dal cuore? Che poi, cuore…non fraintendete. Non ho legami dove sto, diciamo che uso la parola “cuore” ma sarebbe il caso di dire “paura”. Di sganciarsi da quell’abitudine, e da quella rassegnazione di cui ormai sono prigioniero. Ed è sempre il cane che si morde la coda.
 
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venerdì 13 aprile 2012

Come i cavoli a merenda

La pioggia d’Aprile frena le mie velleità di rinascita, di rivincita, di partecipazione. Mi sento come questo strano mese, portatore sano di rigurgiti invernali, la schiena ancora curva sotto il pesante fardello del semestre freddo. Dunque stento a carburare, oltre ad essere anima e corpo, quasi totalmente immerso nel solito stagno di apatia. Mi sento come quelle squadre di calcio che disputano campionati anonimi di centroclassifica, senza mai regalare ai propri tifosi una benché minima speranza di emozione. Potrei ricorrere ad altre metafore ma non è necessario. Io penso che amare, odiare, portare rancore, incazzarsi siano tutti aspetti di un unico cuore che pulsa e sprigiona energia vitale. Quando ti accorgi che non hai neppure più la forza di arrabbiarti, di prendertela per qualcosa, di far pesare a qualcuno qualcosa, allora vuol dire che sei azzerato. E’ quasi snervante e non del tutto liberatorio, ostinarsi a voler comunicare, con parole appropriate, semplici concetti, utilizzando persino toni impostati. Quante cose si possono fare con le armi a nostra disposizione. Si può salvare il salvabile, si può dare una spiegazione plausibile a certi modi di agire, si può far tornare i conti. E magari chiudere anche un capitolo. Ma siamo un popolo di scarsi oratori e ineguagliabili sordi. Che cavolo serve la dialettica, che cavolo serve la passione che ci metti nel trasmettere il tuo disagio, che cavolo serve che lo stomaco si contragga per la sofferenza. Questo è il nostro male, pochi sanno parlare, molti meno ascoltano. Sono un integralista, ne sono cosciente. So che esistono persone che fanno del silenzio il proprio modo di comunicare. Ma questo richiede un ulteriore sforzo empatico per poter venire a capo delle situazioni. Io sono davvero stanco, io so che una consistente parte dei miei scritti è tutta uguale e che, in buona sostanza mi sarebbe bastato un articolo e non 400, per dire ciò che continuo a dire. E cioè che qui ci sto come i cavoli a merenda. E che se non accetto le differenze, posso anche smetterla di lamentarmi.

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mercoledì 11 aprile 2012

Che c’è di nuovo?

Il primo amore non si scorda mai, giusto? Non c’è niente di nuovo in questa libreria che fa da sfondo al mio blog, in queste tinte rassicuranti che dominano il mio template. Proprio da questo modello ho iniziato la mia avventura di blogger e a questo modello io ho deciso di ritornare. Sembrerebbe una di quelle decisioni che vogliono per forza di cose significare un taglio netto con il passato. E’ noto che le donne, quando accade qualcosa che costringe loro a cambiar vita, la prima cosa che fanno è modificare il taglio dei capelli. Beh, io non posso farlo. A dirla tutta, però, nulla di traumatico (per fortuna) è accaduto recentemente nella mia squallida ed anonima vita; tantomeno è nella mia indole annunciare un fantomatico passaggio a miglior vita ( ad una vita migliore sta meglio.. ) attraverso qualcosa di visibile e quindi, superfluo. Ieri, smanettando qua e là, ho pensato che sarebbe stato bello ritornare alle origini. Ecco fatto. Non deve necessariamente esserci una spiegazione a tutto, ma mentirei se dicessi che una parvenza di significato, questo ritorno all’antico, non ce l’ha. Sono parecchio nostalgico negli ultimi tempi, ho persino ( in un momento di follia ) desiderato di ritornare ai bui tempi antichi ( bui, non “bei”, non è un errore). Solo perché allora non avevo nulla e, il non possedere nulla o ciò che si desidera, come dice il vecchio Bertrand Russell, è una parte essenziale della felicità. Si stava meglio quando si stava peggio, ecco, il luogo comune è servito. Insomma sto facendo tutto questo panegirico per dire che, sono tornato all’antico, ma non perché voglio annunciare al mondo ( a cui peraltro non fregherebbe nulla ) che è cambiato qualcosa nella mia vita. Sono tornato indietro perché mi fa stare bene, mi alleggerisce l’animo. Nessun proclama, nessun radicale stravolgimento. Eppur qualcosa si muove, dunque io non prenderei troppo sul serio questo post, e non metterei la mano sul fuoco riguardo alla solita, stramaledetta noia e apatia che mi perseguita. Forse forse, ritornare ad uno stupido vecchio modello, sotto sotto, qualcosa nasconde. Ad esempio, una novità c’è: ho smesso di rileggere gli articoli prima di pubblicarli. Perché? Mi faccio paura.
 
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martedì 10 aprile 2012

Uno specchio dedicato

N
on mi è affatto facile spiegarlo, credetemi. Come ho avuto occasione di affermare più e più volte, questo blog è lo specchio nel quale più volentieri amo riflettermi. Non utilizzando mai quelli di casa, lo specchio virtuale mi mette incredibilmente a mio agio. Non devo fare vedere il mio aspetto, a nessuno importa come sono fatto, ma attraverso questo specchio chiunque può vedere di che pasta sono fatto. Coerente con la mia visione logica e razionale del mondo e delle cose, cerco una spiegazione ai lunghi momenti di silenzio e di assenza da questi fogli. Secondo il mio modesto parere ognuno di noi dovrebbe porsi più di un perché, soprattutto nel momento in cui si accorge di non essere più il solito, di aver in parte modificato abitudini e rinunciato a strumenti che fino a poco tempo prima riteneva indispensabili. Senza tanti giri di parole, credo tutto dipenda da un deciso decremento di interesse per le relazioni, dalla voglia di non impegnarsi più di tanto a coltivare orticelli in condivisione. Non so se questa sia la sede giusta, ma voglio comunque scusarmi con alcune persone (amici?) alle quali non ho sicuramente dato un’impressione positiva. Ci tengo a sottolinearlo non tanto per mettermi l’animo in pace quanto per render noto a loro il fatto che sono perfettamente consapevole di sbagliare, e tanto. Ritorna spesso e volentieri il tema della mia esigenza di trovare a tutti i costi persone compatibili e capaci di condividere passioni ed interessi. Non è detto che non ne abbia avuto l’occasione, ma sono un umorale, lo avete capito. Mi spiace per loro, mi spiace perché potenzialmente avrebbero potuto essere “l’occasione”. Ora però basta. Mi sono scusato. La sostanza è che non mi sento più vittima del tempo, della necessità di programmare, di distribuire la mia presenza in modo equo a tutti. Non ho tempo, non ce la faccio e rimango volentieri nel virtuale. Questo mi aiuta ad abbracciare con piacere nuovi arrivati e a salutare senza grandi dolori coloro che spariscono. Ma questo blog, ora, cosa rappresenta per me? E  dire che di recente è anche accaduto qualcosa che, in altri tempi, mi avrebbe fatto precipitare qui e via, ad imbrattare tutto di parole. E ora no. Come mai? Chiudo con un sintomatico…boh.

specchio

lunedì 2 aprile 2012

Come deve andare

Sono decisamente pigro in questi giorni. Ne è la riprova il fatto che ho deciso di alleggerirmi il carico e non portare il computer al lavoro. Non ne ho proprio voglia, davvero. Pazienza, vorrà dire che rimarrò indietro, soprattutto per quanto riguarda quei pochi contatti che mi sono rimasti e a cui scrivo sempre e comunque, molto volentieri. Sono sicuro che non me ne vorranno. Mi ricordo di voi, anzi devo dire che proprio attraverso la scrittura riesco a “gestire” ( che brutto termine ) meglio i rapporti. E come è noto è quasi sempre nella scrittura che io mi nascondo, mi riparo, mi rifugio per autoconvincermi che il mio mondo è quello buono e giusto. Con quale coraggio mi permetto di affermare che le mie giornate sono tutte uguali e monotone? Ma non è assolutamente vero. Capisco se per andare a lavorare fossi “costretto” a prendere la bici e fare cinque minuti di pedalata. Capisco inoltre se trascorressi otto ore di lavoro chiuso in un ufficio con colleghi apatici e noiosi. Niente di tutto questo, io ho la fortuna di incontrare le più diverse e disparate forme umane dalle 6 del mattino per dodici ore consecutive. Cosa voglio di più dalla vita? Guai se dovessi essere privato della possibilità di essere mandato a fanculo da un utente incazzato, oppure se mi portassero via ciò che più di ogni altro mi fornisce materiale per il blog, ovvero il treno. Partendo da questi presupposti fosso anche concludere che : la mia vita è una vita fantastica. Poco importa se in quelle risicate sessantadue ore che costituiscono quella che dovrebbe essere “la vera vita” io mi annoio. In questo post ho cercato di evidenziare quel costante paradosso di cui sono protagonista e che a mio parere, non è altro che una sorta di compensazione. Probabilmente è anche necessario al mio benessere psico-fisico che io spenga i riflettori sul mondo, per almeno sessantadue ore. E che dunque tutto questo è normale, fisiologico. Chi me lo fa fare ad arrabbiarmi. Adesso ci sono, tutto si incastra alla perfezione e credo che tutto stia andando come deve andare.
 
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