venerdì 30 settembre 2011

Il tagliando

F
orza, resistenza allo stress, soglia del dolore. Nulla o quasi è sfuggito ai test rigorosi di questo 2011. Si è trattato in pratica di una specie di tagliando, tale e quale a quello che si fa alle auto dopo un certo chilometraggio. A partire dai quaranta ( anni ) dunque, via, è necessaria una bella sistematina a motore e carrozzeria. E se della scocca non ho poi così tanto da lamentarmi, è per quel complicato marchingegno interno che ho dovuto spendere una cifra. Insomma, siamo ad Ottobre ed una buona parte del tagliando (posso azzardare) è stata fatta. Mi sono persino reso conto che, quel senso di indifferenza che provo verso alcune persone (colpevoli di comportamenti quanto meno opinabili nei miei confronti), è del tutto giustificato. C’è una sostanziale differenza rispetto a quelle che erano le mie reazioni tipiche a comportamenti tipici. Non più rancore, non più messaggi subliminali, non più mezze parole. Solo naturale indifferenza. A rafforzare la mia convinzione, nel caso specifico, la lontananza forzata di una persona. Il fatto di non poterla sentire materialmente per ragioni oggettive, non ha fatto altro che rafforzare il mio distacco. In pratica, questa persona non mi è mancata affatto. Tutto torna quindi. Sarà che sto attraversando un periodo in cui le emozioni le tengo chiuse in soffitta, ma quantomeno ora riesco ad avere molti dei miei istinti ( per lo più negativi ) sotto controllo. Oggi ho rivisto Elisa. Abbiamo parlato di questo mio essere apparentemente un pezzo di ghiaccio, di come persino qualcuno della famiglia mi abbia rimproverato di non mostrarmi preoccupato. Siamo giunti ad alcune conclusioni che mi rendono giustizia e che fanno di me una persona giunta ad una quasi completa maturazione. A me non frega nulla se ci sono arrivato alla veneranda età di 43 anni. Ci sono arrivato, punto. Ora che il tagliando è stato fatto, la macchina può ripartire. Non l’ho affidata a nessuno, ci ho messo le mani io, quindi non posso che fidarmi. Ora ho la sensazione di dover lentamente riacquistare un minimo di sensibilità. Non dipende solo da me, dipende anche da chi e cosa mi ronzerà intorno. Intanto mi butto nel weekend.
 
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mercoledì 28 settembre 2011

Prima declassata, addio.

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a quando mi hanno tolto la “prima declassata” non è più la stessa cosa. Forse pretendevo troppo, ma non mi aspettavo neppure di arrivare al punto di rischiare di non scrivere più sul mio blog. Per farla breve, il mio caro e affezionato 17.20 per La Spezia, è stato sostituito da un regionale che arriva fino a Genova Brignole. Anche il materiale del treno è decisamente cambiato. In peggio. Carrozze vetuste, vergognosamente sporche e non è tutto. Avete presente quei vecchi vagoni a due piani dove, sopra sembra di stare in mansarda (e chi come me supera i 180 cm di altezza rischia di non starci nemmeno seduto ) ? Al piano sotto, fanno bella mostra un unico sedile per al massimo 2 persone e mezza da un lato, ed uno per una persona e mezza dall’altro. Un pezzo unico, dove ci si stringe e si fa fatica a muoversi. Aggiungiamo poi la totale assenza di porta valigie e porta rifiuti. Una vergogna. Non approfondiamo e veniamo alle penose conseguenze su tutto ciò che, questa situazione mi provoca. Non riesco materialmente a tenere il pc sulle gambe, quasi non riesco neppure a orientare lo schermo che va pericolosamente a picchiare sulle gambe altrui. Io così non riesco a scrivere. E non ho molto altro tempo ( né occasioni ) per farlo. Al momento (sono le 16.47 ) il treno è ancora vuoto, e ancora posso permettermi il lusso di buttare giù qualcosa. A prescindere da questa doverosa premessa, devo riconoscere che questi fogli, farebbero comunque fatica a riempirsi. Se questo è un blog personale dove emozioni, pensieri, stranezze e contorcimenti la fanno da padroni, allora in questa fase ogni articolo rischierebbe di essere vuoto. Come già detto, la situazione è chiara. Freddezza e indifferenza sono le sensazioni predominanti. Ciò comporta che non esistono persone, comportamenti tali da suscitare e stimolare reazioni che meritino un cenno. In effetti, a parte l’emicrania costante di questi giorni, sto abbastanza bene in questo mio essere ibrido e totalmente asettico. Faccio fatica a costruire un discorso come piace a me, faccio fatica a dissertare su questo o quel modo di agire. Probabile che chi si è dimenato precocemente dal sottoscritto, ora si pentirà amaramente di averlo fatto. Ma dov’è l’Enzo triste e lagnoso? Non dire ( tu che mi hai accusato di essere troppo pesante ) che ora non ti penti di aver buttato all’aria questa amicizia. Se avessi aspettato un po’, avresti capito che so essere più forte di quanto credi. Non sbattetemi contro, finireste con il farvi male, molto male.
 
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domenica 25 settembre 2011

Solo un “Arrivederci”

L
’ultima pedalata è scivolata via lasciandosi alle spalle un cielo fosco ed un sole pallido. Una perfetta sintonia con quelli che sono i sentimenti malinconici tipici dell’arrivederci. Ci rivediamo l’anno prossimo. A questo punto la valigia è sufficientemente piena, ho riposto le varie immagini in ordine sparso; è molto difficile che si sgualciscano i ricordi. Parlare con una bicicletta è un segno di evidente squilibrio mentale, vero? Beh io l’ho fatto nel momento esatto in cui l’ho appesa al chiodo e l’ho delicatamente coperta con il lenzuolo d’ordinanza. Arrivederci, le ho sussurrato. In quel momento ho preso coscienza dell’enormità dello spazio temporale che mi separa dal momento in cui salirò nuovamente sui pedali. Un tempo lunghissimo, la cui percezione negativa è aggravata da uno stato di incertezza sul futuro che, da qualche mese ha preso pieno possesso di questa casa. Si chiama consapevolezza di uno stato di cose che non lascia spazio alla programmazione, all’idea, al sogno. Uno spazio di nove mesi sarebbe anche del tutto sopportabile se il problema si riducesse essenzialmente all’aspetto climatico. Che barba l’autunno, che noia l’inverno. La luce manca, le giornate nascono di notte per finire nella notte più buia. Tutto qui? Che problema c’è? Il mio inverno sarà diverso. Ma poi, chi di noi si può permettere di programmare qualcosa? Ma sognare si, cavolo, quello si!! Accidenti, stavo per cadere nell’errore più tipico di noi umani: vivere la vita in funzione del domani. Che stupidaggine. Viviamo oggi, dai. E sapete una cosa? Quasi stavo perdendo di vista il mio oggi, la mia pedalata. Le gambe hanno fatto tutto loro, come al solito. Impazzite e trascinate dalla voglia di fare, in andata, urlanti pietà nel tragitto di ritorno. Ho percorso in totale 936 chilometri a partire dal 1 Maggio. Non ho quantificato il numero delle uscite, ma considerato il chilometraggio totale le posso fissare in poco più di ventina. Sono decisamente sugli scudi, una netta progressione rispetto allo scorso anno, soprattutto tenendo conto che il tempo a disposizione è stato assai minore. Sono soddisfatto. E quando lo dico io è tanto raro quanto vero. Buttiamoci nella nuova settimana che ci porterà dritti ad Ottobre. Io non ho paura.
 
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venerdì 23 settembre 2011

Corto circuito?

I
l weekend alle porte sarà in gran parte dedicato al mio corpo. Ritorno finalmente in palestra dopo quasi due mesi di assenza poi, se non ci saranno intoppi, mi regalerò l’ultima pedalata della stagione. Mi auguro solo che il tempo “tenga”, che mi permetta ancora di togliermi lo sfizio. Il weekend alle porte giunge al termine di una settimana complicata ma che, mi ha ulteriormente fortificato. Sono rientrato a lavorare Mercoledì temendo un vero e proprio tracollo fisico e mentale dopo i giorni difficili in Puglia. Ancora una volta, mi sono riscoperto ( vuoi per necessità, vuoi per indole acquisita ) un uomo forte. Tutto questo “tenere” a livello mentale e nervoso, mi rende indubbiamente capace di superare ogni ostacolo mi si ponga davanti. Intoppi, imprevisti, difficoltà contingenti al lavoro, sonno arretrato. Respingo ogni assalto. Questo “tenere” a livello nervoso presenta un preoccupante rovescio della medaglia, di cui probabilmente ho già parlato qui. Non provo nulla. Mi spiego meglio: fortificarsi, prendere la forma degli avvenimenti che ci colpiscono, significa lasciarsi un po’ abbracciare dal destino. E faccio mia una bella frase di Seneca che così scrive nelle sue Epistole a Lucillo .”Ducunt volentem fata, nolentem trahunt”: il destino accompagna colui che lo accoglie e trascina che lo combatte. Mi ci sto ritrovando sempre più in questa visione del tutto fatalista della vita. Io, indefesso assertore del libero arbitrio. In fondo questo destino dispettoso (ed uso un eufemismo) ho imparato ad abbracciarlo, semplicemente perché così facendo ho costruito la mia migliore arma di autodifesa. Effetti collaterali di tutto ciò? Una lenta, progressiva, costante perdita della capacità di emozionarsi, una (talvolta impressionante) naturale freddezza. Non sono un freddo, mi emoziono eccome, ho sentimenti ma è come se tutto fosse andato in corto circuito. A furia di richiederlo, lo stand-by emotivo, l’ho ottenuto. C’è voluto il destino, c’è voluto il tocco perfetto di un abile disegnatore, ma io ora sono questo. Cosa ne sarà di quei rapporti umani di cui vado sempre cercando un archetipo? Cosa ne sarà di quella istintività a me tanto cara? E cosa ne sarà di quella voglia di costruirmi un mondo fatto di occhi, sorrisi e pacche sulle spalle? Non è che per caso finisce che non ne sentirò più il bisogno? Mio Dio, cosa sono diventato?
 
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mercoledì 21 settembre 2011

Benvenuto equinozio

U
na buona notizia c’è: l’estate astronomica ci ha lasciato. Di fatto è stato il periodo nel quale si sono maggiormente concentrati gli eventi negativi della mia vita, in questo 2011. Penso dunque che la rimuoverò di netto, facendo delle mie uscite in bicicletta una debita eccezione. Dell’estate meteorologica invece non farei mai a meno, la scenografia ideale è per il sottoscritto quella dei mille colori della natura, della luce del sole, delle notti stellate. Ed invece, dopo l’illusione che stiamo vivendo in questi giorni, tutto tornerà avvolto dai non colori del grigio e del nero. Oggi ho ripreso a lavorare dopo nove giorni di ferie. Vogliamo proprio chiamarli cosi? E chiamiamoli così. Quel che conta purtroppo è che i giorni a disposizione fino alla fine dell’anno sono ridotti al lumicino, ma all’Ufficio personale penso non interessi più di tanto come io li abbia sfruttati. Torno da un’esperienza (l’ennesima) che mi ha segnato profondamente. Di questi segni mi è completamente vietato dare manifestazione in un ambiente ibrido come quello lavorativo. Qui è di regola abbigliarsi di maschere, possibilmente di quelle con disegnato un bel sorriso. Falso. Non ci si può portare sul lavoro le emozioni. Diamo al lavoro quello che è del lavoro, ovvero rappresentare uno degli antidoti più potenti per combattere i momenti no, quelle giornate che, altrimenti, sarebbero vissute nella totale tristezza. Come sarebbe anche giusto, dopo aver vissuto certe situazioni. Non voglio dedicare un articolo all’autunno che è qui, e non vede l’ora di martellarci con le sue nebbioline, e il suo grigiore assoluto. Voglio festeggiare la fine di un’estate deludente, ipocrita, persino cinica nel suo architettare in maniera così orribile il susseguirsi degli accadimenti. Cosa mi resta di lei? Un ultimo scherzo, che spero non riuscirà a farmi. L'uscita più recente in due ruote mi ha lasciato davvero soddisfatto, ero consapevole che sarebbe stata una delle ultime volte, ma non certo l’ultima. E così voglio che sia. Mi adopererò affinché io possa permettermi, alla faccia delle bizze meteorologiche, l'ennesima pedalata. E dare un tono ufficiale al momento in cui metterò a riposo il mio mezzo. Intanto comincio a riprendere confidenza con la mia prima declassata. E ne avrò di occasioni per lamentarmene.
 
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lunedì 19 settembre 2011

Viaggiatori di passaggio

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omani riparto. Rientro in Piemonte dopo la breve parentesi Pugliese. Ritorno con la tristezza nel cuore e con il solito minestrone di sentimenti. E’ stato bello rivedere i cugini, gli zii, dopo quasi dieci anni che mancavo. Certo, si vorrebbe che fossero altre le occasioni per una bella rimpatriata. Ma sono sereno perché sebbene in piccolissima parte ho dato il mio contributo, il mio appoggio, il mio conforto a chi ne aveva bisogno. Io odio le distanze. Ne ho patito gli effetti devastanti anni fa quando alcuni rapporti sentimentali hanno pagato il prezzo dei chilometri. Ne ho subito le conseguenze anche quando si è semplicemente trattato di piccoli problemi, di momenti di difficoltà e le uniche persone in grado di confortarti erano lontane miglia e miglia. Io non credo affatto al detto che la lontananza rafforza i sentimenti. Il legame di sangue è una cosa, quello affettivo un’altra. Ho intensamente e costantemente bisogno di dialogo, ne sono portatore sano e non amo i silenzi. La distanza è frustrante quando senti la necessità di guardare fisso negli occhi qualcuno, la distanza è frustrante nella misura in cui aumenta le possibilità di fraintendimenti. La distanza è frustante quando la maggior parte delle tue giornate è avvolta dalla solitudine ed una telefonata non basta. Non basta mai. Io vivo un paradosso evidente: sono nato e vivo in una realtà ( quella della mia città ) con cui non ho mai avuto un legame stretto. Amicizie, relazioni, hanno viaggiato sempre sui binari, nel vero senso della parola. Persino alcune particolari situazioni della vita  (vedi lavoro) mi vedono tuttora ricoprire il ruolo del viaggiatore. Mi sono spostato e tuttora mi sposto fisicamente per colmare ogni tipo di vuoto, da quello affettivo a quello economico. Che roba, ma capita. Ritorno dunque, ritorno nel giorno che apre le porte all’autunno. La mia estate scivola via melanconicamente, con addosso un velo di tristezza. Non è l’autunno la stagione ideale per ridare spazio alle emozioni, per rinascere a nuova vita. Mi auguro soltanto che esso porti quella insostituibile voglia di calore e di protezione che solo cieli grigi e freddo intenso, regalano.  Mi sento di augurare a quelle persone che in questo momento stanno soffrendo che l’autunno porti loro tanto, tantissimo calore umano e anche la semplice sensazione della presenza di chi non c’è più fisicamente, ma con lo spirito. La vita è un viaggio. Noi siamo viaggiatori di passaggio. 

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sabato 17 settembre 2011

Ci vorrebbe il mare

L
’ho solo potuto sognare, immaginare, pensare ardentemente. Sapevo, ne ero certo, che quest’anno avrei toccato il fondo e non lo avrei visto. Il mare. Non vorrei avere avuto occasione peggiore per poterlo incontrare. Avrei desiderato partire con la spensieratezza di un ragazzino, zaino in spalla e tanta voglia di libertà. Ora che sono seduto su questo sofà con il mio foglio sulle gambe, quasi respiro il mare. Mi basterà uscire tra qualche ora, fare una lunga passeggiata e sarò lì, davanti al mare. Quante volte poi, ho ricordato i bei momenti di ragazzino, le estati al mare della Puglia. I nonni, gli zii, i cugini. Che belle rimpatriate. Poi la vita dà e toglie sempre in esatta misura ; sai per certo che, per ogni momento di spensieratezza ce ne sarà uno di tristezza, persino di dolore. E’ la vita. Il destino è parte di essa se non la vita stessa. Ed infatti la vita a volte gioca scherzi di bambino. Peccato che tu un bambino non lo sia più e debba accettare tutto senza muovere ciglio. Il destino, un destino orribile, mi ha riportato al mare in questi caldi giorni di Settembre. Tutto stride, ogni emozione è soffocata. Se ho odiato l’estate ora mi tocca odiare il mare. Perché sarà inevitabile legare il suo ricordo ad un brutto momento di vita. E’ come uno di quei fili che si attorcigliano, si annodano e diventi matto per slegare tutto. A pensarci bene, usando quel poco di ragione che in questi casi ti rimane, tutto fila liscio. Almeno se il tutto viene contestualizzato ad una fase della propria vita. La mia, di vita. Mi sono triturato le meningi per dare una spiegazione ad una tanto precisa quanto sfortunata serie di eventi. Senza successo. Mi sono persino illuso di poter trovare un solido appoggio su qualcuno degli appartenenti al genere umano ( sapete, qui, sulla terra li chiamano “amici” ). Senza successo. Mi sono poi giocoforza imposto di mantenere soffocata l’emotività, di mascherare quel tanto che basta per non piangermi addosso. Io sono certo di una cosa. Arriverà il momento in cui tutto questo voler essere forte sfocerà in un pianto assoluto. Oggi mi è vietato farlo perché non mi è permesso perdere il controllo. La situazione è delicata. I sentimenti negativi che albergano in me sono tanti. Non voglio perdere tempo nel manifestarli, non servirebbe a niente. Questa nave continua in solitario il suo percorso. Oggi vedrò il mare e là forse troverò comunque la forza per proseguire.
 
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mercoledì 14 settembre 2011

Presunzione di sincerità

P
uò capitare, e chissà quante volte sarà capitato. Due persone si conoscono, si scambiano parole di reciproca stima. Qualche volta basta poco per comprendere le qualità altrui e non è detto che le valutazioni positive siano fatte così, tanto per fare. Può capitare che la bilancia cominci a pendere troppo da una parte perché c’è una situazione di sfondo che rende il rapporto più fragile. Questo è il quadro; trattasi di situazione piuttosto comune quindi non mi dilungherei più di tanto. Parto dal presupposto che le parole di stima siano sentite e vere. Esse restano. Continuo a chiedermi a cosa ancora serva, al giorno d’oggi, l’orgoglio. Lo immagino come una palla da bowling che fa strike tirando giu’ tutti i birilli. Ed i birilli sono le parole, quelle che qualche tempo prima ci avevano riempito il cuore. Ammesso che chi fa leva sull’orgoglio abbia anche dalla sua la ragione, io penso che non esista situazione al mondo irrisolvibile se, bandito l’orgoglio, ci si rimette al dialogo. Io agisco in questo modo: non dimentico le belle parole, e inizialmente non indago sulla loro veridicità. Le faccio mie. Presunzione di sincerità, la chiamo. Se sbaglio, è perché agisco impulsivamente, dicendo cose che sebbene non suonino offensive, possono urtare la sensibilità. Faccio mea culpa. Su di me, l’orgoglio non attacca. Provo a recuperare, attraverso gesti apparentemente normali, che mirano a recuperare la stima perduta. E, quasi sempre vengo messo all’angolo. E’ un vero peccato che l’orgoglio faccia della ragione ( anche la più evidente ) un bieco torto. Mi è capitato così di recente. Ho provato, dopo aver sbagliato a recuperare ma mi è stata chiusa una porta in faccia. Sono ormai testato in tal senso, a volte viene da dire un liberatorio chissenefrega. Ma ho appurato che l’unico modo per sentirsi sereni con la propria coscienza è agire per come il nostro cuore ci consiglia di agire. Non crediate che non sia una persona orgogliosa. Sono una persona ferita ma che sa quanto l’orgoglio in queste situazioni renda tutto più difficile. Si chiama seconda possibilità. Si chiama umanità. Perché errare è umano. E allora benvenuta sia in questi casi, una buona dose di umiltà. Quante volte mi è capitato di dover recuperare quando ormai qualcuno stava andando via. Ci ho sempre provato. Ammettere i proprio errori è importante ma, consiglio spassionato a chi sa, non dimenticarsi di ciò che è stato detto. Perché oltre ad orgogliosi, si passa per ipocriti.
 
sincerita

martedì 13 settembre 2011

Un’ottima annata

S
arà un’ottima vendemmia, me lo sento. Ed io mi porterò il sole e l’aroma dei vitigni nella mia fredda valigetta appoggiata sul sedile. E’ stato un vero peccato non avere con me telefono e macchina fotografica questa mattina. Prevedevo un’uscita del tutto anonima; da tempo infatti non percorrevo il tratto della Bormida, ritenendolo noioso e fin troppo pianeggiante. Così, sapendo cosa mi attendeva ho lasciato tutto a casa. Ma le gambe, quelle, vanno per conto loro; riceveranno si, impulsi dal cervello ma quando spingono, spingono. Così è sembrata poca cosa arrivare a destinazione dopo 25 chilometri: di fronte a me la strada si manteneva stretta, il cielo straordinariamente terso e ai lati distese di vitigni dagli aromi intensi. Sarà un’ottima vendemmia, dicevo tra me e me. E intanto le gambe andavano lungo quella strada che odorava dei profumi di un’estate in ritardo e rifletteva dei colori delle uve ancora lì, in attesa del momento della raccolta. Erano gli aromi a farmi proseguire lungo ancora circa dieci chilometri di un percorso mai provato, mai azzardato. Ad un certo punto mi sono fermato per respirare silenzio e odori. Nella mia mente la consapevolezza che non ci sarà un limite a quel viaggio di oggi. “Non importa, torniamo indietro, sarà il mio primo percorso della prossima estate, questo”. La certezza della fine di un’esperienza totalmente in solitario, accompagnata dal solito velo di malinconia. La stessa, identica sensazione che provai l’anno passato. Non c’è più paura del ritorno, non c’è più il timore di pagare a caro prezzo uno sforzo, non c’è più il terrore di rischiare. C’è solo grande forza di volontà, e grande speranza. I miei viaggi alla scoperta di sensazioni forti, ma al tempo stesso delicate e avvolgenti, non sono altro che una retorica metafora della vita. Della mia vita, in questo esatto momento. E’ ora di fare andare le gambe, di alzarsi sui pedali, di non abbattersi di fronte alla successiva salita. Per ogni momento di sconforto ce n’è un altro che annuncia una discesa. Non è facile sentirsi pienamente soddisfatti in questa vita. Probabilmente siamo tutti eternamente a cavallo di una bici che non può essere solo trasportata dal vento. Pedalo, continuerò a farlo anche quando un bel lenzuolo la renderà inerte. L’inverno incolore ed insapore non ha armi contro di me. Sapori, odori, il sole: non occupano spazio. E’ tutta forza, tutto coraggio accumulato. Sarà un’ottima annata.
 
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lunedì 12 settembre 2011

Io sarei in ferie ma…

A
bitare in città è già di per sé un problema. Vivere in un palazzo circondato da palazzi poi, una condanna. Io credo non ci siano luoghi come il traffico cittadino ed i condomìni dove si concentri il più alto tasso di inciviltà e maleducazione verso il prossimo. Io non so cosa sia successo negli ultimi venti o trenta anni. Forse io ho un pessimo ricordo della mia infanzia e della mia adolescenza; anche sforzandomi non riesco ad individuare una situazione simile nel mio passato. Passi per i miei, che fanno parte di un’altra generazione ancora, ma almeno la mia sembra essere di un altro pianeta ancora. Terzo giorno di ferie. E’ Lunedì. Mia madre mi chiede qualcosa che al solo pensiero mi fa vedere i sorci verdi: “Enzo, mi accompagneresti fino al mercato in piazza?” Si rende necessario a questo punto un rituale fatto di yoga, thai-chi e roba varia. Ci penso, devo prendere l’auto, fare un percorso di due chilometri per raggiungere l’obiettivo e attendere ( frecce d’emergenza attivate) il ritorno di mamma nel bel mezzo del traffico. Guidare mi trasforma in una belva. Hulk a confronto somigliava più ad Heidi che ad un mostro. Io odio chi guida, e quindi odio me stesso, quando sono al volante. La peggior razza sono i guidatori di Suv, odiosi maledetti presuntuosi. Mettiamoci le mamme che devono accompagnare i figli a scuola possibilmente entrando con l’auto nei locali del bidello. Non ce la faccio. Irrispettosi, imbranati, spesso bastardi. Godere poi di un pomeriggio nel quale tentare una pennica pare un bell’obiettivo. Sono in ferie, no? Dove sta il problema? Io credo che non ci sia luogo al mondo come il condominio dove la pazienza e i limiti di sopportazione vengano messi a dura prova. Ricordo che, quando ero piccolo e mi permettevo di giocare nel cortile nelle ore dedite al riposo dei vecchi, mi arrivava di tutto. Pure l’accusa di terrone rivolta ai miei. Poi io mi chiedo, ma quanti cazzo di cani ci sono? Io ne sento abbaiare almeno una ventina. Colpa dei cani? Ma figuriamoci. Ancora una volta andiamo a ritroso ed individuiamo nel soggetto umano il primo cane della situazione. Oggi c’è pure paura, perché qui siamo circondati da persone che fanno dell’anarchia pura uno stile di vita. Paura di una reazione spropositata ad un semplice “Scusi, potrebbe abbassare la radio?” “Scusi, lo sa che non si può fare la grigliata a Ferragosto sul terrazzo di casa”? “Scusi, le dispiacerebbe evitare di gridare in quindici alle 4 di notte perché io domani vado a lavorare?”. E poi: “Scusi, gentilmente, potrebbe mettere la freccia quando gira e darmi la precedenza quando necessario?”. Che risposta otterremmo? Soluzioni drastiche: andare a vivere in campagna ristrutturando un vecchio rudere, bruciare l’auto.


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domenica 11 settembre 2011

Meglio tardi che mai

I
o ringrazio Dio per questa estate tardiva. L’ho maledetta, l’ho insultata, l’ho persino rinnegata. Ma di una cosa la ringrazio: tutte le volte in cui io ho programmato la mia pedalata, mi ha regalato giornate a dir poco splendide. E’ il mio secondo giorno di vacanza. I Sabati sera da pensionato mi portano un sostanziale giovamento: mi alzo molto presto al mattino della Domenica, faccio colazione con caffelatte e pane e nutella poi, via, a pedalare. Avevo una mezza idea di cosa fare delle tre ore mattutine a disposizione. Durante le ultime uscite ho tentato nuovi percorsi, non appena giunto alla destinazione stabilita. Oggi ad un certo punto ho imboccato una strada che, sapevo sarebbe stata per un paio di chilometri in discesa. E che discesa! Giunto al paesello, ero altrettanto sicuro di trovare un’altra strada che mi avrebbe poi portato dritto a casa. Sono totalmente privo di senso dell’orientamento e ad un certo punto mi è pure preso il panico. Oh mio Dio, dov’è? Dovrò mica tornare indietro da dove sono arrivato? Vorrebbe dire un paio di chilometri di salite tortuosissime! Castelnuovo Belbo è un paese di quasi duemila anime. La mattina alle 10 la piazza del Municipio è deserta, il bar dello sport pure. Poi ad un certo punto….Guardalo là il nonnetto appoggiato alla ringhiera che si affaccia sul torrente. Cosa scruterà mai? Ma chi se ne importa, ciò che conta è che mi dica dove devo andare. “Scusi, per andare dove devo andare, per dove devo andare?” “Prosegua dritto e troverà le indicazioni”. Grazie! Che sollievo. E’ il mio secondo giorno di ferie. Mi sento già in perfetta forma fisica. Smaltite le tossine del Venerdì, sono sufficienti due pasti regolari, una sveglia che suona un paio d’ore dopo per riacquistare una parvenza umana. Eh, fosse sempre così! Ma viviamo giorno per giorno. Ho ancora un paio di mattine da dedicare alla mia amata fidanzata a due ruote. Non ho altri programmi se non quello di vivere la giornata a passo di gallina, indossando bermuda, ciabatte e occhiali da sole. Mani in tasca, a passeggio per il centro, un salto in biblioteca, un altro a salutare i sempre amati ex colleghi, e magari pure una gitarella al mare. Sono sicuro del fatto che Lunedì prossimo, alle 8.30 mi saranno già spuntate le occhiaie da sportello. Ma perché pensarci? Qui c’è da essere positivi, da fare uno sforzo immane per esserlo e sembrarlo, ma voglio relegare la tristezza il piu’ possibile nelle segrete del mio cuore. So quanto il mio star bene fisico sia miracoloso per la mente. E allora andrò di gambe, e che il cielo sia sempre più blu: in tutti i sensi.

Tracce della mia pedalata di oggi

sabato 10 settembre 2011

La comparsa

C
redo di non sentirci bene da un orecchio. In modo particolare quello dal quale continuo a sentirmi ripetere la stessa cosa da tempo: “Sei una persona speciale, ma tu non ti valuti, non ti stimi, credi sicuramente poco in te stesso”. Effettivamente, come la cara amica Katia mi ha da poco ricordato, la percezione che gli altri hanno di te è strettamente legata a quella che tu hai di te stesso. L’umiltà e la sensibilità sono doti ma si deve assolutamente evitare che esse rompano gli argini finendo con l’abbattere quelli che sono i muri della dignità e dell’orgoglio personale. E dire che me lo sento ripetere ogni giorno, soprattutto da un paio di colleghe che ormai conoscono perfettamente quella che è la mia litania quotidiana. Non riesco a sentire loro, non riesco a convincermi di quello che dicono e, cosa ancor più grave, non riesco ad ascoltare me stesso. Se io potessi anche solo per un giorno uscire dal mio corpo e osservarmi, nei gesti e nelle parole, probabilmente mi verrebbe il voltastomaco. Perché a pensarci bene, ci si deve provare a mettere nei panni altrui e concentrarsi su quella che è poi la percezione che loro hanno di te. Un esercizio di trasposizione. Attenzione però. Non si tratta di indossare maschere e far finta di essere chi non si è per piacere agli altri. Qui si tratta di continuare ad essere sé stessi, evitando solamente di ripetere, ad ogni minima occasione, di essere troppo umile. A tal punto da denigrarsi. A dare un’immagine boriosa e sprezzante non serve molto impegno. Più difficile è non darne una terribilmente negativa. Come faccio?? E’ così tutto chiaro, è tutto terribilmente evidente. Perché io non mi piaccio a tal punto? E attenzione ancora: quando incontri persone dotate di una particolare sensibilità, esse si accorgono di questo e te lo fanno notare. Ma se ti imbatti nei soliti pressapochisti, superficiali perfidi soggetti, questi ti mangiano vivo. Non vedo e non sento bene. Non mi accorgo di nulla e perdo tanto, tantissimo tempo a distruggermi. Questo post è una ventata di ribellione ad una situazione di fatto che, pare immodificabile ma non è. Non so quante volte ancora me lo sentirò dire. Magari poi, ci si stuferà anche di ripetermelo. Ma avrei davvero bisogno che qualcuno, magari con una bella telecamera nascosta, riprendesse una mia giornata tipo. Credo che avrete occasione di assistere ad un film nel quale l’attore principale recita da perfetta comparsa. Vi chiederete come mai. E la vostra domanda è legittima; peccato che sia io l’unico a non pormela!
 
comparsa

venerdì 9 settembre 2011

Elettroshock

C
osa si può dire alla fine di una settimana da delirio e alle porte di una di ferie? In questo esatto momento sto nel mezzo, ovvero porto ancora i postumi di un Venerdì allucinante e riesco solo ad intravedere quella sensazione di pace che dovrebbe accompagnarmi nei prossimi giorni. Quando rientri al lavoro basta una mattinata ad azzerare del tutto, quanto di guadagnato nei giorni precedenti. Il volto rilassato e gli occhi vispi accompagnano il tragitto che mi porta dalla bollatrice alla postazione di sportello. E’ sufficiente fare una doppia chiamata e avresti voglia già di mandare a fanculo il rompiballe di turno. La regola è dunque darci dentro in termini di impegno. Ci si deve applicare moltissimo per rendere le ferie un momento di totale abbandono. Quando ( come da copione ) il luogo di villeggiatura è casa, lo sforzo diventa sovrumano. Questa settimana è stata “carica”. Emotivamente mi sono sgonfiato, nel senso che ho avuto a che fare con alcune situazioni che non mi sono affatto piaciute. Ne ho dedotto questo: la mia autostima ancora latita, eccome se latita. E’ terribilmente presente invece quell’insana paura della solitudine che mi spinge oltre la linea della dignità e dell’orgoglio. Soprattutto quando razionalmente sai perfettamente che il tuo sforzo è inutile. La scena che si presenta ai miei occhi è sempre la stessa, il solito rituale, il solito tragitto che porta alle medesime conclusioni. Io non devo avere paura della solitudine. Io devo avere paura di me stesso e dei miei limiti. Naturalmente lo stress mentale legato al lavoro è un’arma a doppio taglio: aiuta a dimenticare ma ti uccide i pensieri e toglie lucidità. Nei rapporti interpersonali ci sono meccanismi ormai standardizzati. Se le persone sensibili sono in percentuale in numero minore, è quasi matematico che esse andranno incontro a delusioni. Se io mi metto in testa che ad un mio atteggiamento tipico corrisponde una risposta altrettanto tipica il risultato sarà quello. E cosa c’è di più certo della matematica? Il teorema della delusione è presto dimostrato. Ci sono poi altre vie per bypassare la solita fregatura. E non parlo di cambiare noi , il nostro modo di essere. Semplicemente infilarsi nella capoccia che nulla è per sempre. Devo avere molta paura dei miei limiti: temo di aver avuto un’ulteriore conferma del fatto di essere totalmente senza palle. Individuato, eccolo lì il cretino che giro come un calzino. A questo punto non ci sono speranze per me: forse, l’ultima, è l’elettroshock.
elettroshock

giovedì 8 settembre 2011

Così, tanto per scrivere.

A
nche oggi è stata una giornata snervante. Non ci sono le condizioni per lavorare senza mai sbagliare. Qualcuno probabilmente pensa che non siamo uomini, ma macchine. Lo stress nervoso in questi ultimi tempi è decisamente maggiore di quello fisico. L’unico cruccio è di mangiare male e velocemente. Da Sabato prossimo ricomincio ad allenarmi in palestra e almeno per una settimana ancora potrò godere del piacere di qualche uscita in bicicletta. Non lo dico troppo forte, visti i precedenti. Ebbene si, mi sono preso un’altra settimana di ferie. Anche se, solo per una frazione di secondo mi sono chiesto a cosa serva buttare via giornate inutili da trascorrere a casa. Ma qui le ferie, a ben guardare, non bastano mai. Sono stato piuttosto arguto e lungimirante nel posticipare la settimana, dalla prima alla seconda del mese. Da Lunedì sarà un inferno. Questo periodo di vacanza Settembrino ha una lunga storia alle spalle. Come gli altri avrebbe dovuto essere destinato ad un bel viaggio, magari all’estero, magari a Vienna, come avevo preventivato. Niente, non era cosa quest’anno. Molta della rabbia accumulata negli ultimi due mesi è anche in parte dovuta ad un ripetersi di eventi negativi senza soluzione di continuità. Ancora adesso qualche scoria mi rende intrattabile, odioso, lamentoso, ma credo sia questione di tempo. L’estate volge al termine. Non che mi dispiaccia, non mi mancherà. Non sono comunque pronto ad affrontare l’autunno. La mattina presto mi accoglie già con le prime nebbioline della campagna che fa da panorama al mio viaggio verso Torino. Non demordo e continuo ad indossare magliette a maniche corte, sprezzante della prima umidità e dell’incomprensibile ventata di aria condizionata sul treno delle 6.30. Probabilmente ( spero ) uscirò abbastanza rigenerato dalla settimana di vacanza, almeno nel fisico. Sebbene intimamente io conservi sempre un sorriso, necessario per affrontare anche le situazioni più amare, non ho voglia di celarmi dietro alcuna maschera. Almeno qui, su questo blog. Come ho già ripetuto fino alla nausea, per quanto riguarda la gestione dei rapporti umani “reali”, fingerò beatamente un’allegria del tutto ipocrita. Continuerò su questa strada finchè non avrò attratto a me il maggior numero di persone. Sappiamo bene che di persone tristi nessuno sa cosa farne. Ora si tratta di capire se ciò porterà davvero a risultati consistenti e quanto io, riuscirò a tenere nascosto il mio malessere. Dal momento che si tratta di persone in gran parte “virtuali”, per evitare “mazzate” del tipo vedi la frase in grassetto dell’articolo precedente, forse ce la farò senza fatica. Come sempre, chi vivrà vedrà.
 
scrivere-blog

mercoledì 7 settembre 2011

Questa è casa mia!

T
ra le tante cattiverie che ho sentito in questi ultimi tempi, l’ultima non è passata inosservata. Recita testualmente: “Credo che tu ti stia nascondendo dietro la malattia di tuo padre, perché ti lamenti della vacuità delle tue relazioni, non di quando porti tuo padre a fare la terapia." Voi come la chiamereste questa, critica costruttiva? Io direi magari bastardaggine, insensibilità. Ma questa volta approfitto di un’ulteriore accusa che mi è stata mossa ( infangare le bacheche con malcelate allusioni ), per difendere ed esaltare questo luogo, il blog. Io qui posso fare tutto ciò che voglio: mandare messaggi subliminali, fare allusioni, lamentarmi di questa o quella persona. Non urto la sensibilità di nessuno se non di chi, avendo la coda di paglia, si reputa tirato in ballo. E dire che io di messaggi subliminali ne ho mandati a frotte su questo blog. Tutti sono passati inosservati per due motivi: la persona non legge il blog, oppure lo legge ma il messaggio non lo/a tange. Nel corso degli ultimi post ho fatto malcelate allusioni ad una persona che reputo abbia tenuto un comportamento scorretto nei miei confronti. Non l’ho fatto solo attraverso il blog, ne ho anche parlato con l’interessato. E’ accaduto però che qualcuno , leggendo un articolo, abbia riconosciuto sé stesso in quelle allusioni e me ne abbia fatto una colpa, traendo conclusioni affrettate. Sono stato accusato di usare un modo indiretto per far notare alcuni atteggiamenti anziché dirlo direttamente. Niente di più falso. Insomma, per farla breve sarei un meschino ipocrita. A parte il fatto che io qui sono a casa mia e dico e penso quello che voglio; a parte il fatto che non faccio nomi e cognomi di tutti quelli che mi hanno fatto incazzare altrimenti, al posto del blogroll avrei una lista nera; a parte il fatto che se ti da fastidio cosa scrivo perché ti ci riconosci hai la coda di paglia. E quindi schiaccia il tasto del telecomando e cambia canale. Qualcuno non ha ancora capito che Facebook e il blog sono per me due facce della stessa medaglia. Facebook è la buccia, il blog è la polpa. Io qui sono io, nudo e crudo. Là, cosa volete, sono anche un po’ bizzarro. Ora mi arriva questa accusa di cui leggete sopra. Io dunque non accetterei le critiche costruttive; e quella roba lì cos’è? Come si può permettere una persona che non ti conosce, di affermare certe cose? Sono ben contento di questo mio spazio, dove faccio entrare tutti, perché tutti sono ben accetti. Ma non ti permettere di infangarmi perché su questo blog io di te dirò peste e corna. Sarò sempre educato, e farò in modo che ti riconoscerai. Se accadrà, avrò la prova provata della tua colpevolezza.
 
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martedì 6 settembre 2011

Attenzione, pericolo!

R
infacciare: “Ricordare a qualcuno, con l'intenzione di umiliarlo, qualcosa che si è fatto per lui”. E’ un piacere, quasi imbarazzante, ricevere complimenti che attengano alla propria interiorità. Spesso li apprezziamo maggiormente quanto più la persona che ce li fa è degna della nostra stima. Io divento rosso, abbasso gli occhi, sono immediatamente pronto a negare tutto, ogni volta che qualcuno mi rivolge parole di apprezzamento. Succede anche che nei momenti di difficoltà io sia talmente restio a chiedere aiuto in giro da rifuggire ogni forma di solidarietà, vera e sincera. Solitamente mi isolo e provo ad affrontare tutto da me. So per certo che, nei frangenti in cui sono con il morale a terra divento pesante come il marmo. Internet è una droga. Se non ci fosse, sarei giocoforza ( e menomale ) costretto a vivere i miei dolori in totale solitudine. Internet è una malattia. Accendi il computer, apri una chat, chiacchieri. Ti lasci andare a raccontare dei tuoi problemi, qualcuno dimostra di essere attento ai tuoi discorsi. Attenzione, attenzione. Nel momento in cui tu parti, rischi ti colpisca in fronte un doppio boomerang: allontanare progressivamente quella persona e, effetto ancor più devastante, sentirti rinfacciare il tutto. Ora, proviamo a fare ordine. Qualsiasi cosa uno faccia ( in bene, intendo ) lo fa con il cuore. Nessuno è costretto ad ascoltare nessuno gratuitamente. Poi ad un certo punto, la cosa si fa pesante. Io stesso, mi rendo conto di questo. Non amo essere di peso a nessuno. Ci sono persone che non hanno la qualità della schiettezza. Troppo facile esserlo a posteriori; perché ( se pensi di essere un amico ) non mi avverti del fatto che sono una persona pesante, lamentosa, fastidiosa? Ed invece aspetti il momento per “tagliarmi”, dicendo che non è il caso di vivere internet come un afflizione? Preciso, voglio farlo, che non è Internet la causa. La colpa è sempre e solo delle persone. Ma dov’è finito il coraggio di dire le cose in modo schietto e sincero? Dove? Io non voglio più ( mai più ) sentirmi dire che sono mite, paziente, autoironico, sincero. Guai a chi lo fa. Volete farmi un complimento vero? Ditemi che sono empatico. Del resto non mi frega nulla. Mi tocca ridere di nuovo. Lo faccio eccome. Rido di fronte all’ennesima dimostrazione di “ amico va bene quando tutto va bene”. Non mi ero mai sentito dire che sono portatore sano di tristezza, che riesco a trasformare un piacere, in un’afflizione. E allora, per rimanere in linea con la mia nuova condotta, mi lancio in un liberatorio….Ah ah ah ah ah ah ah ah ah ah ah ah ah!
 
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lunedì 5 settembre 2011

Sulla buona strada

H
o mille ragioni di ritenermi sulla buona strada. Un’ottima strada, azzarderei. E’ incredibile il fatto che, a darmi una mano nel mio tortuoso percorso, siano proprio alcuni appartenenti a quel genere umano da me così fortemente bistrattato. Non è colpa loro, sono così. Probabilmente pensano che io sia ancora eccessivamente vulnerabile, che mi trastulli con sensi di colpa. Sicuramente pensano che io sia un deficiente. Hanno sbagliato tutto. Mi sono posto un obiettivo e lo raggiungerò. Già mi ci vedo, arrivato e felice. Quel che c’è di nuovo in me, non si può cogliere attraverso queste parole, anzi probabilmente nessuno avvertirà il cambiamento. Quel che si dovrebbe notare ( e non si vede ) è quel sarcastico, ironico e per certi versi ipocrita sorriso con cui rispondo alle provocazioni. E’ ormai appurato che le persone sono quelle, piuttosto prevedibili, quasi monotone nel loro agire secondo il tipico schema del menefreghista, pressapochista, superficiale. Ma mi dico e mi ripeto a cosa serva elucubrare su certi comportamenti. Che ignobile perdita di tempo. Se la sostanza non cambia, tanto vale addolcire la pillola. Mi sto facendo quindi largo a spallate, tra il nulla o quasi, ma sto facendo largo anche nella mia mente, svuotandola di pesi eccessivi. Qualcosa ancora mi stupisce. Mi sono fatto per lungo tempo quasi un cruccio, lamentandomi di essere anche eccessivamente volubile; ho persino cercato di allontanare da me i problemi che mi rendevano tale. Questo anche per fare un favore al prossimo. Ma vi rendete conto? E poi ti accorgi che di gente umorale, strana, assolutamente incomprensibile ne esiste un numero spropositato. Fondamentalmente la sostanza è la seguente: chi tende a darti consigli, per certi versi anche a leggerti la vita, è colui che razzola peggio di quanto predica. Ma che stress. Ma alla fine chi è più noioso: io che continuo imperterrito a lamentarmi ( non nascondendomi dietro maschere ) oppure quello che si alza sul proprio piedistallo elargendo pillole di vita dietro la parvenza di grande moralizzatore? Allora, ancora grazie. Grazie a quella parte di genere umano che ho incrociato e sto incrociando sulla mia strada e che mi sta facilitando notevolmente il compito. Mi faccio largo a spallate, proseguo senza sosta. Non ha senso, ripeto, non ha senso prendere la vita ( e chi la popola ) sul serio. Sorrido ancora, mi butto in avanti, e per evitare problemi di cervicale evito di guardarmi indietro ogni volta che qualcuno…sparisce. Ancora grazie. Sono sulla buona strada.
 
la-strada

domenica 4 settembre 2011

Effetto notte

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idere di situazioni grottesche. Nella vita ci vuole ironia e allora prendiamo tutto sul ridere. Saranno anche risate amare che lasciano una scia di malinconia, ma è pur sempre l’unico modo di affrontare una vita che si ostina ad essere terribilmente monotona. Sono un lontano parente di quell’Enzo rancoroso e rabbioso di qualche settimana fa. Avercela con il mondo ed utilizzare il solito capro espiatorio per gridare il proprio disagio non porta a nulla. Anche questa sera, non facendomi mancare la mia quotidiana dose di sano masochismo, ho optato per un’uscita. Sapevo perfettamente come sarebbe andata, ma ho pigliato il tutto sul ridere. Non rido di me stesso, perché io continuo a mantenere alto l’orgoglio e conservo ancora velleità di vita nuova. Rido del tutto, degli attori, della trama, della sceneggiatura di una vita che, in questo suo terzo tempo assomiglia ad un film demenziale. Sono per carattere autoironico, sono abile nel prendermi in giro. Sto imparando a prendermi gioco anche della vita perché tutto sommato, io di questa vita non riesco più a prendere nulla sul serio. Sono convinto e speranzoso del fatto che, così facendo ne uscirà un’immagine del sottoscritto più sostenibile e leggera. Un amico mi ha ricordato che le persone lamentose allontanano più facilmente gli amici. Sono d’accordo a metà, perché sappiamo bene che, quelli veri, di amici, non se ne vanno. Ma il termine amico, nell’accezione più contemporanea ha un significato assai lato. E non voglio perdermi in dissertazioni notturne sul tema. Mi riesce più facile, a fronte della serata appena trascorsa, diventare sostenitore dell’assurdità della vita che nella maggior parte dei casi ti lascia protagonista di sceneggiature orribili oppure semplice comparsa di quelle più intriganti. In entrambi i casi, rimani fuori. Posso dunque permettermi di prendere tutto alla leggera, e cominciare ad entrare nell’ottica del sorriso come “must” per combattere l’assurdità dell’essere. Sto scrivendo un post in un orario per me poco consono. Di certo ne trae beneficio la fluidità delle parole, che appaiono scorrevoli e smussate. Non ci sono angoli vivi, tutto sembra dolcemente trasportato dal silenzio della notte. Chi lo avrebbe detto che, al termine del solito atto triste e malinconico, io mi dovessi ritrovare a scrivere di una vita alla quale sorridere. Effetto della notte imminente, oppure reale desiderio di cambiare le cose?
 
terza stanza effetto notte

sabato 3 settembre 2011

Ho perso la cognizione del tempo

C
ome un bambino cui la vigilia di Natale è stata regalata una macchinina a pedali ed il mattino seguente non vede l’ora di svegliarsi e montarci su. Non so spiegarmelo ma devo aver perso, durante questi giorni convulsi, il senso del tempo. Avevo come l’impressione fosse passato un secolo dalla mia ultima pedalata. Temevo di pagare dazio per questo. Sono arrivato al termine di questa settimana con braccia e gambe molli, come se non avessi fatto attività fisica da almeno tre mesi. Insomma, è bastato montare in sella per accorgermi di quanto fosse necessario schiacciare sui pedali. Il mio ordine mentale rompe gli argini della vita quotidiana, del lavoro, travolgendo la sfera delle passioni. Effettivamente, a pensarci bene, studio i tragitti fin troppo meticolosamente e, ancor più meticolosamente tendo a ripeterli a cadenze stabilite. Sto finalmente prendendo gusto a variare sul tema. Mi ci vorrebbe la stessa identica predisposizione a farlo nella vita. ( piccola nota del redattore ). Si parte, si arriva, si prova ad imboccare strade sconosciute che portano chissà dove. E’ capitato oggi. Non ho neanche minimamente pensato all’idea di alleggerirmi il percorso, sono partito forte, e forte sono rientrato. Si, ho perso un po’ la cognizione del tempo. La settimana trascorsa mi ha visto protagonista ( mio malgrado ) di una piccola celebrazione: l’occasione l’ha fornita il mio quarantatreesimo compleanno. Oh mio Dio! Io al centro dell’attenzione, che imbarazzo orribile. Ma poi, quando tutto è finito, fai un piccolo resoconto e finisci con il bearti, non tanto di essere stato per una volta “ricordato” quanto per la dimostrazione dell’esistenza di persone vere. Si si, per carità ce ne sono ancora tante in giro. Ma dal momento che esse sembra corrano alla larga dal sottoscritto ( o sarò io a non saperle cercare? ) trovarle così vicino, genera un senso di genuina meraviglia. Guai, dico guai, illudersi, però! E guardarsi sempre bene dalle solite apparenze. Ah, è vero, sono tornato a scrivere sul blog. Cosa è cambiato nel frattempo? Ma nulla, proprio niente. Non ho mai odiato il blog, bensì me stesso. Questo diario sono io, e quando non riesco a sopportarmi, lui ne subisce le conseguenze. Chissà cosa penserà di me: anche lui mi darà del matto, ma tutto sommato andiamo d’accordo.

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