giovedì 17 marzo 2011

Il sarto

M
ia madre è sarta. Cuce, ripara, confeziona da quando era una ragazzina e ancora oggi, ago e filo sono i suoi strumenti di lavoro. Mi sono sempre lamentato del fatto che confezionasse però solo abiti femminili per cui, mia sorella ne ha tratto un indiscutibile vantaggio. Ma volete mettere una giacca od un cappotto che ti cadono a pennello? Che non fanno quegli orribili segni e spiegazzature nei punti dolenti quali le spalle ad esempio? E magari un bel pantalone che non tiri troppo nel sedere. Mia madre di tanto in tanto mi fa qualche ritocchino, ma di creare su di me, nulla. Da anni però io porto un abito che mi è stato cucito addosso e che non fa una grinza. Riempie perfettamente le forme del mio esile corpo, mi dona, non fa una piega; tuttavia io quest’abito ora non lo voglio più. Mia madre me lo ha cucito negli anni, facendo si che assomigliasse perfettamente all’idea che lei si era scolpita nella mente. O che lei portava di suo già addosso. Perché, come già detto in passato, quando io mi specchio vedo la sua immagine riflessa. Quel che sono (e di cui mi continuo a lamentare negli ultimi tempi) è quello che sono diventato. Mia madre? Per carità, lei non ha colpa. Lei mi può anche aver cucito addosso un abito perfetto, voluto secondo il suo gusto. Ma ora che sono cresciuto quel vestito “tira” dappertutto. Un vestito che chiamo…”personalità” o “carattere”, fate voi. Lo ereditiamo dai, inutile nasconderci. Siamo un po’ quello che i nostri genitori sono o hanno cercato di farci essere. Ma loro, lo ripeto non hanno alcuna colpa in questo. Un bambino cresce, si presume diventi un adolescente responsabile ed un uomo maturo. Io probabilmente ho provato a starci dentro a quel vestito per troppo tempo, senza rendermi conto che prima o poi si sarebbe squarciato. Ed è così arrivato il momento di cambiarlo. Posso anche scegliere di acquistarne uno alla moda, che si adatti perfettamente alla stagione, all’ambiente, alle esigenze del momento. Ho bisogno di un abito piuttosto sobrio, che non dia all’occhio, che passi quasi inosservato ai più, che al momento opportuno mi faccia apparire come un esemplare austero, criptico, senza fronzoli. Ammesso e non concesso che l’abito non fa il monaco, allora il mio abito sarà indossato in quelle occasioni nelle quali non ho bisogno di essere ciò che realmente sono. Che colore potrei scegliere? Sicuramente ce ne sono tanti in giro capaci di trasmettere una certa immagine di sé. Devo lavorarci sopra. Ma se non riuscissi ad arrivare a comunicare soggezione, distacco, indifferenza, menefreghismo quanto meno mi riprometto di apportare modifiche a questo abito. Ahimè mia madre non potrà aiutarmi in questo; lei, il suo lavoro su di me lo ha già fatto. Sarebbe anche ora che anche io andassi un po’ di ago e filo.


4 commenti:

  1. Bellissimo il paragone, bel post.

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  2. mi piace la metafora dell'abito... moltissimo!!! hai descritto in modo originale una sensazione che tutti noi proviamo.... il distacco non è mai semplice però un bel giorno arriviamo a capire che siamo diventati indipendenti e che l'aiuto dei genitori non è più indispensabile... La mamma e il papà giustamente ci cuciono addosso le loro impressioni fin da piccoli e da li si forma il nostro primo carattere che poi però muterà continuamente perché non siamo mai gli stessi... ogni giorno cambiamo un po' di noi! ;)

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  3. Grazie Giulia. In effetti è così. Può darsi che io, come ho scritto, abbia mio malgrado indossato quell'abito. Ma ora, è arrivato il momento di farne un altro. Ch emi porterò per un altro pezzo di vita..Quello più importante.

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