martedì 30 novembre 2010

Dicembre è…

A
llora Novembre, cosa aspetti ad andartene? Dicembre scalpita con il suo carico di eventi per cui, si dia inizio alle danze! Ma cos’è Dicembre? Provo a stilare un rapido, personalissimo elenco:
1) Dicembre è il mese dei ponti e del Natale ( per chi è credente);
2) Dicembre è il mese della festa imposta per antonomasia, il Capodanno;
3) Dicembre è il mese delle pubblicità martellanti su panettoni, caffè, cioccolatini e giochi di ogni tipo ( a proposito, ma il bimbo che dice “Dai buttati che è morbido", farà l’Università ora?);
4) Dicembre è il mese degli albergatori felici per il pienone negli alberghi a Cortina, St.Moritz e Cervinia ( ma non c’era crisi? );
5) Dicembre è il mese degli schizofrenici al volante in corsa verso luminescenti lidi chiamati centri commerciali per accaparrarsi il primo regalo ( patente a punti anche sulla guida di carrelli e trolley da supermercato è la mia proposta);
6) Dicembre è il mese degli ipocriti che vanno a Messa alla Vigilia di Natale (e solo in questa occasione) per sfoggiare l’ultimo capo d’abbigliamento;
7) Dicembre è il mese della tredicesima ( per chi è così fortunato da avere un lavoro );
8) Dicembre è il mese di Santa Lucia e delle giornate che si allungano a passo di gallina;
9) Dicembre è il mese della melanconia delle festività per chi è solo;
10) Dicembre è il mese in cui ci si ricorda dei clochard e di quanto hanno bisogno ( per il resto dell’anno nessuno se ne cura );
11) Dicembre è il mese dei servizi giornalistici in fotocopia su: corsa ai regali, code ai caselli, cosa si mangerà alla vigilia di Natale e Capodanno;
12) Dicembre è il mese degli auguri di Buon Natale e Buon Anno fatti a tutti anche così, tanto per dire qualcosa ( che poi, appena li lasci, peste e corna..);
13) Dicembre è il mese della neve alla Vigilia di Natale che dici: “Che romantico!” ma che, chi lavora dice: “ Ma vaffanbip”;
14) Dicembre è l’ultimo mese dell’anno, dei bilanci, e dei buoni propositi che mai verranno realizzati.
Ho elencato dieci punti ma penso di averne volontariamente tralasciati o semplicemente dimenticati molti altri. A Voi l’onere e l’onore di aggiungerne a Vostro piacimento.

lunedì 29 novembre 2010

Curve e dossi

C
iao S. Ringrazia pure un weekend sonnacchioso e la mia propensione al ricordo facile se sono qui a parlare di te nonostante non lo meriti. Non ti degno del tuo nome per esteso ma non per vigliaccheria. Perché tu, come A, M, e tante altre iniziali ti sei dissolta nel nulla. Le date hanno sempre importanza, e questo blog ormai parla, racconta di emozioni quotidiane ( o quasi ) e dei giorni in cui le ho provate. Questo blog mi aiuta a ricordare, ad imprimere più facilmente nella memoria le date, regalandomi prove inconfutabili di ciò che ho detto e provato. A distanza di qualche mese da quell’articolo in cui tessevo le tue lodi, innalzavo odi all’amicizia e spronavo me stesso a credere che forse, c’è sempre qualcuno che si differenzia io, ritratto la mia dichiarazione e riapro il dibattimento. Non sono un giudice, non ho un pulpito da cui inveire additandoti, non ho neppure voglia di gettare fiato per argomentare. Faccio finta di essere un uomo civile che parla ad una persona civile. Nella realtà sarebbe così semplice farlo ed invece spesso si alzano muri di silenzio che ti obbligano ad agire così, attraverso allusioni, messaggi subliminali, finta diplomazia. Ti dedico questo articolo perché solo qualche mese fa, predicavi molto bene, ed io avevo paura di razzolare male. Ora mi ergo a predicatore perché a razzolare male sei stata tu. Sempre a riempirti la bocca di belle parole, sempre a cercare comprensione, a dare consigli. Per poi cosa? Per poi rendere, in un battito di ciglia, tutto ciò che è stato detto e fatto, del tutto inutile. Ma perché a volte il destino ti fa fare certi giri? Ci sono scorciatoie così comode per arrivare alla stessa identica destinazione. Se in fondo alla strada che si imbocca c’è già scritto “Delusione”, perché dover passare attraverso le tortuose vie dell’illusione, delle belle frasi e di tutto ciò che dà adito ad una speranza? Probabilmente avessi a disposizione un navigatore speciale e dovessi muovermi a mio piacimento gli indicherei di scegliere il percorso più breve tagliando rigorosamente dossi, curve a gomito ed incroci pericolosi. Non so dove tu sia finita. Non so perché hai scelto di dissolverti. Se mi avessi conosciuto come dovevi, avresti capito che ti avrei fatto il mio solito regalo, ti avrei per l’ennesima volta detto: “Ti capisco”. Ed invece, sono rimasto qui, questa volta complice di un silenzio che non ho intenzione di rompere. Il fatto è che a volte, certe immagini tornano,le voci risuonano come in un unico trailer di un film già visto. Appunto, già visto. Non mi scomoderò a vederne altri.
Percorsi molto tortuosi in vista

domenica 28 novembre 2010

A me, non fanno ridere.

I
n una divertente scena del film “Il bisbetico domato” con Adriano Celentano, il protagonista (un burbero uomo di campagna) piange a dirotto guardando le comiche. Quest’immagine assai caricaturizzata per esigenze di copione, ben mi si addice. E’ in effetti la stessa identica reazione che probabilmente avrei guardando uno dei cosiddetti “cinepanettoni”. Non fosse per la martellante pubblicità e per le comparsate dei protagonisti nelle varie trasmissioni televisive, di questi films probabilmente non mi accorgerei neppure. E li chiamano “comici”. Ma quando si parla di comicità in relazione a questo genere di produzione a cosa si fa riferimento? Agli attori e alle attrici quasi sempre improvvisati? Alle battute di pessimo gusto contornate da inevitabili parolacce? A pur validi interpreti che abbassano di gran lunga il proprio livello di autostima? A quale tipo di utenza sono rivolte queste pellicole? Ed è a questo punto che scatta, inevitabile, la malinconia , la nostalgia per quella che considero la comicità più esilarante. “De gustibus non dispuntandum est” per cui la mia sarà inevitabilmente una valutazione soggettiva. Premetto che l’avvento del “file sharing” ha dato il colpo di grazia alla mia già flebile voglia di recarmi al cinema; penso si contino sulle dita delle due mani le occasioni  in cui nell’ultimo ventennio ho visto un film “dal vivo”. Ora invece scelgo di vedere ciò che voglio, e quando voglio. E potendolo fare, opto per un cartoon movie, per un thriller psicologico o se voglio realmente divertirmi, per un classico in bianco e nero. In particolare sono un appassionato delle commedie all’italiana degli anni '50. Sarà che manco di senso dell’humour ma non trovo nella comicità moderna, grande novità di contenuti. Guardate C.D.S.: figlio di cotanto padre ed ora “impegnato” indefessamente in pubblicità e “cinepanettoni” ove riporta, ripete, ricicla le sue stesse battute, persino le stesse movenze. Non rido, non riesco a ridere di gusto. Sono anch’io un bisbetico da domare? Forse. Penso tuttavia di sfondare una porta aperta nel dire che oggi mancano quelle che io definisco “le fabbriche” di comici. Esistono un paio di prodotti in tal senso grazie ai quali molti talenti hanno avuto modo di mettersi in luce. Ma credo che si tratti di una comicità di nicchia. E spesso questi talenti vengono “infilati” all’interno di produzioni di scarso valore. Se non rido ci sarà una ragione; per chi si accontenta, buon “cinepanettone”.

Una scena dal film “Il bisbetico domato” (1980)

sabato 27 novembre 2010

Sala d’aspetto

A

suggerirmi l’articolo di oggi è stata una canzone. Se volete ascoltarla mentre leggete il post, vi allego il video. Ascolto pochissimo la radio, anche in macchina; di gran lunga preferisco il mio lettore mp3 o i cari vecchi cd ove custodisco tutta la mia musica preferita. Si rende di tanto in tanto necessario qualche aggiornamento perché capisco che, ascoltare in random sempre gli stessi brani può risultare noioso. Qualche giorno fa però, trovandomi a fare il passeggero, ho sentito questo pezzo provenire dalla radio. E come sempre accade quando parte l’attacco di una qualsiasi canzone, comincio a fare vari collegamenti cercando di immaginare a quale preciso momento della vita quel brano mi riporti. Ma questo gran bel pezzo di Raf ha un particolare significato essendo di fatto celebrativo della fine di un’epoca di cui tanto si parla e a cui spesso con grande nostalgia si ripensa. Mentre ascoltavo la canzone mi è sovvenuta un’ ”incredibile” intuizione: ma, stiamo o non stiamo avvicinandoci alla fine di un altro decennio? E nonostante l’idea di guardarmi indietro mi incuta il solito timore, viene spontaneo provare a fare un’analisi di questi dieci anni di vita. Sotto il profilo personale devo riconoscere si è trattato di un periodo se non buio, piuttosto oscuro. Un periodo durante il quale l’insicurezza unita all’incapacità di affrontare situazioni e adottare decisioni di una certa rilevanza, si sono rivelate determinanti per il mio futuro a livello professionale. Ci sono stati momenti in cui avrei potuto e non ho agito, altri in cui avrei dovuto e ho avuto paura. Questi dieci anni? Sotto il profilo delle relazioni personali li potrei immaginare come una grande sala d’aspetto all’interno della quale si sono avvicendate tante persone (ognuna con il proprio bagaglio -talvolta pesantissimo- ) nessuna delle quali però, mai seriamente intenzionata a fermarvisi. Un grande andirivieni dunque, ove l’unico spettatore immobile, senza una precisa destinazione, pareva proprio il sottoscritto. Ma sarei davvero ingiusto se non riconoscessi a questi dieci anni il merito di avermi fatto incontrare persone per cui è valsa la pena e vale tuttora la pena di dire: “andiamo avanti”. Mentirei a me stesso se non sottolineassi quanto questa fase sia stata fondamentale per la mia crescita interiore. Il decennio dei miei “40”. Beh, che dire di fronte a tanta saggezza acquisita: chiudo questo articolo con un grazie ai miei anni che sono scivolati via così rapidamente quasi a volermi fare aprire gli occhi sul mondo.Quel mondo di cui forse ora ho ben chiari i confini.

Raf– Cosa resterà degli anni 80

venerdì 26 novembre 2010

In coda

P
orto in genere poca pazienza, ma sono sempre le stesse situazioni a farmela perdere del tutto. Non so come spiegarlo, ma divento idrofobo e comincio a battere i piedi per terra dal fastidio. Tra queste, una delle più frequenti è fare la coda. Ma a chi non infastidisce? Passi quella all’ufficio pubblico, passi pure quella in auto ( che già di per sé guidare non è la mia passione ); io sono intollerante alla fila presso le casse del supermercato. Chiunque frequenti di tanto in tanto un centro commerciale sa che le situazioni che si verificano all'interno degli ipermercati sono le più svariate e costituiscono ormai veri e propri luoghi comuni. Chi non si imbatte negli anziani con il cappello ( non guidano solo le auto, ma anche i carrelli ) che ignari degli altri utenti piazzano il carrello in mezzo al corridoio per andare qualche centinaio di metri più avanti alla ricerca di qualcosa? E chi non hai mai incontrato quelle simpatiche famiglie che in stile “Carramba” si incontrano al reparto macelleria dopo anni facendo salotto e ostruendo il passaggio? Penso inoltre che a molti sia capitato di incontrare la signora che ti dice “Scusi, lei che è alto, mi prenderebbe quel pacco di sale lassù?”. Situazione tragicomiche cui ormai sono piuttosto abituato. Ma c’è un momento, che prima o poi, arriva per tutti ed è ahinoi, quello del pagamento. Anche qui, potrei elencare situazioni grottesche. Io generalmente, in fase di approccio alla cassa agisco con la seguente tattica: conto rapidamente i prodotti nel carrello sperando siano meno di dieci. Ebbene, se ho il privilegio di passare alla “cassa veloce” trovo la cassiera più lenta del supermercato. Se non ho questa fortuna, beh, allora qui comincia il bello; provo ad infilarmi in coda e, al primo tentativo scopro che quello due carrelli più avanti al mio, ha fatto acquisti per un esercito. Seconda chance: ecco che là in fondo c’è una cassa che pare vuota. Parto, mi infilo ma (e lo sapevo! ) dopo cinque minuti la cassiera….tac…alza la cornetta e passa interminabili minuti in attesa che qualcuno le comunichi un prezzo. Terzo tentativo: sono quasi arrivato al tapis roulant, poggio la merce e quello davanti a me cosa fa? Non ha un contante nel portafoglio, e la sua maledetta carta di credito non passa. Finalmente tocca a me e, con le occhiaie e il volto tirato dalla fatica, pago. Non prima però di aver ricevuto un’occhiata malefica da pare della cassiera ( coi baffi ) non avendo io, monetine. Ma mi chiedo: “Ma possibile che alle casse non abbiano mai resto?” Insomma, dopo che ti sei fatto un “mazzo” tanto, te ne vai coperto di insulti. Ed ora che arriva Natale……
Un sorriso ogni tanto non guasta..

martedì 23 novembre 2010

Picchettaggio

M
i sento in dovere di ringraziare sentitamente il mio emisfero destro per l’azione di sciopero odierna. Questo foglio si sta gradualmente riempiendo di pensieri sconnessi a causa dell’azione di picchettaggio che si sta svolgendo dinnanzi all’ingresso dell’emisfero sinistro. La maggior parte dei neuroni ha aderito allo sciopero e qualche crumiro, coraggiosamente al lavoro, prova a produrre quel che può. I risultati li avete sotto i vostri occhi. E allora, facciamoli lavorare questi neuroni. Se sono in pochi a darsi da fare saranno costretti a sostenere turni improbi e probabilmente domani li ritroveremo esausti. Penso che il cervello mandi segnali inequivocabili quando raggiunge i cosiddetti punti di non ritorno. E lo fa impedendoti di pensare, cercando di farti sentire anche un po’ superficiale affinchè tu possa godere di quel momento di leggerezza sempre agognato. Ed io cosa faccio? Ostinatamente provo a produrre qualcosa, provo a volere a tutti i costi generare un pensiero serio. Senza riuscirvi. Ok, allora ho capito, ci rinuncio a malincuore e chiudo tutto qui. L’emisfero destro e l’emisfero sinistro nel frattempo, proveranno magari in questi giorni a trovare un accordo di massima, come si dice….aspetta… bipartizan, al fine di dar vita ad un governo di transizione, di responsabilità, o meglio, di armistizio ( fino ad ora non ho sentito altre definizioni ). Io spero che, nel caso il grande capo decidesse di non rivoluzionare tutto, la mia maggioranza (l’emisfero destro -nessun riferimento politico- ndr ) possa continuare a lavorare come ha sempre fatto. Eh si perché io, questo riposo emotivo non lo gradisco molto. Ho quasi bisogno di contorcermi nei soliti passaggi complicati della psiche, ho bisogno in tutta sostanza, di produrre. Ma quanto è immensamente grande il nostro cervello..Non appena mi ha trasmesso un segnale di stop dei lavori per sciopero cosa ho fatto io? Ho cominciato a scrivere alludendo velatamente alla politica. Incredibile. Se due più due fa sempre quattro questo mi porta a pensare che io di politica posso ( velatamente ) parlare solo quando ho le facoltà mentali ridotte. E questa è una bellissima notizia perché vuol dire che direi solo una marea di cavolate. E se così è, allora forza, emisfero destro, vedi di riprendere regolarmente la tua attività: lo sciopero è un diritto ed è sacrosanto. Ma se hai anche un po’ a cuore i miei lettori, datti da fare. Vorrai mica che li costringa a leggere improbabili teorie su armistizio, transizione, e responsabilità? 
Uhm..a volte bastano poche parole..

lunedì 22 novembre 2010

Question time

I

l weekend appena trascorso , seppur buio e piovoso, ha fatto luce sulle ombre ed i pensieri negativi che si sono rincorsi nella mia mente durante la scorsa settimana. Merito di una riflessione forzatamente indotta dalla solita assenza di svago ma alquanto produttiva perché lucida. Lavoro dunque sempre da solo, sono io l’interrogante, io che pongo quesiti e sempre io a rispondere, ad illuminarmi. Una sorta di “question time” il cui protagonista è il sottoscritto con domande e risposte a raffica. Dicono che so ascoltare ma preme ricordare che sono molto bravo ad ascoltarmi ed ho sinceramente più a cuore questa seconda capacità. Quando decido di rivolgermi qualche domanda chiedendo il perché di certi miei atteggiamenti e di quelli altrui, mi accorgo di non avere più molta fretta di rispondere. Mi prendo il tempo che serve e poi, provo a fare chiarezza. Quell’impulsività che qualche anno fa si traduceva nella tendenza a tirare conclusioni affrettate mi ha di fatto abbandonato. Il proverbio dice che “a pensar male si fa peccato ma il più delle volte ci si azzecca”; spesso i fatti mi hanno dato ragione nel fidarmi o nel non fidarmi di qualcuno “a pelle”. Poi mi sono detto: “Perché limitarmi ad una valutazione approssimativa che potrebbe rivelarsi anche svantaggiosa oltrechè pregiudizievole?” E così, ho smesso di pensar subito bene o male di qualcuno sperando che, data una possibilità, concessane un’altra, alla terza io potessi finalmente avere una prova dell’affidabilità di chi mi stava di fronte. Questo secondo metodo di valutazione non mi ha dato le garanzie che cercavo ma mi ha aiutato ad accettare le persone per come esse sono. E, questa stessa tempistica nel giudicare gli altri io la sto adottando nei miei confronti. Sbaglio a fare una cosa? Beh, mi concedo un’altra possibilità. Sbaglio ancora? Me ne concedo un’altra. Alla terza, deduco che sono umano, ovvero imperfetto e magari anche coglione. Me lo dico io, non ho bisogno che lo facciano gli altri. Mi ritengo dunque fortunato ad essere io, l’unico confidente di me stesso, perché non c’è peggior amico di quello che ti consiglia dicendo ciò che tu vorresti ti venisse detto. Giusto? Ed io, che sono il più ipercritico dei critici, posso autobastonarmi e mangiare la carota quando voglio. Un grazie però lo devo rivolgere a chi sa sempre ascoltarmi con pazienza in modo disinteressato e riesce ( e ce ne sono pochissimi ) a starmi dietro, nonostante il fondo del barile sembri scendere ogni volta. 

Solite domande, nuove risposte


domenica 21 novembre 2010

Puntare l’obiettivo

H
o una nuova compagna di giochi che ho deciso di chiamare Niki. Tornerà spesso nei miei racconti per cui, coloro che di tanto in tanto mi leggono, sapranno a chi mi sto riferendo. Tengo a precisare che Niki non parla, non ha sentimenti né emozioni ma riesce egualmente a trasmettere sensazioni uniche a chi la possiede. Il suo più grande pregio è quello di saper fermare il tempo attraverso immagini che, grazie alla bravura ( non è il mio caso ) di chi l’ha tra le mani, a loro volta sanno emozionare. Mi è costata qualche piccola rata di finanziamento e probabilmente rientrerà nel novero di quegli acquisti compensativi di cui parlai qualche tempo fa. Seppur la si possa collocare nella fredda categoria degli oggetti, una macchina fotografica consente di “giocare” e di liberare la fantasia, dunque di tornare anche un po’ bambini come io sono avvezzo fare. Niki mi è stata fornita insieme ad un duplice manuale d’istruzioni, il primo cartaceo ed il secondo ( quello più “corposo” ) su cd. Dovrò almeno inizialmente attenermi a questi orribili insegnamenti teorici che nulla hanno a che vedere con il vero uso di un apparecchio fotografico. Essendo però totalmente a corto di nozioni penso sia giusto, poi proverò e troverò le differenze. Al momento ciò che più mi ha portato all’acquisto di un apparecchio reflex è stata proprio la sua duttilità e la capacità di dare a chi la usa un’invidiabile varietà di possibili soluzioni. La fotografia è una di quelle passioni di recente scoperta. Ho un bel po’ di scatole in cui conservo i vecchi ricordi su carta fotografica e sebbene a guardarli ora sembrino appartenere all’era glaciale, testimoniano il mio vezzo ad immortalare cieli, volti, paesaggi. Qualche piccolo complimento mi ha ulteriormente stimolato ad apprendere le tecniche di base in grado di migliorare la resa, ed ora avrò ulteriori possibilità. Non è la prima volta che mi soffermo sul discorso relativo alle passioni, soprattutto a quelle “tardive”; è assai probabile che ognuno di noi conservi dentro di sé talento per qualcosa di cui spesso non ci si accorge neppure. La scoperta in questo senso è portatrice di grande entusiasmo e voglia di apprendere, a prescindere dall’età e dal tempo a disposizione. E finalmente riesco a dare carburante a quella parte di me che nulla ha a che vedere con la ragione, con l’analisi. Passione è innanzitutto irrazionalità, per certi versi rischio, per altri ancora, liberazione. Considerando il mio innato senso “autocritico” , comincerò ad essere soddisfatto dei miei ritratti dopo estenuanti prove. Ma com’era il detto di quella pubblicità? “Quando faccio qualcosa, mi piace farla bene”… Se sara' degno di nota, proverò a pubblicare qualche piccolo “prodotto” e lascerò a Voi il più obiettivo dei giudizi. Buona Domenica.
Quell'obiettivo me lo sogno..

sabato 20 novembre 2010

Crisi di rigetto

R

iflessioni di metà cammino: la giornata è uggiosa e induce al sonno , alla lettura, al non fare nulla. Io naturalmente opto per qualche elucubrazione nel mio stile ovvero “di peso”, ma nel senso di pesante da reggere. A questo punto, potete fermarvi qui e scegliere di meglio. A poco più di due anni di distanza dal mio “quarantesimo” , questa settimana ho avuto una vera e propria crisi di rigetto. A quel tempo riuscii ad esorcizzare il raggiungimento del fatidico traguardo, dapprima attraverso un viaggio a Parigi, poi in modo quasi del tutto incosciente. In fondo quaranta è solo un numero e spesso i numeri hanno un significato del tutto relativo; l’ho imparato soprattutto a scuola, quando un maledetto voto avrebbe potuto caderti addosso come un macigno. Credo che l’età anagrafica allo stesso modo, giochi un ruolo marginale. L’età, quella vera, la dimostra la nostra indole, la nostra voglia di vivere e lottare. Gli studi scientifici mi collocano più o meno a metà del percorso, ma solo gli studi, per carità; non oserei mai contraddire colui che ha già “piazzato” la bandiera a scacchi di fine corsa in un punto a me sconosciuto. Ecco perché, a fronte soprattutto della prospettiva ( per ora ancora teorica ) di un possibile cambio di vita, ho avvertito un senso di oppressione. Da un lato, il futuro che mi chiama a gran voce e dall’altro il mio passato che, d’un tratto è tornato prepotente a trovarmi. Si perché, di fronte ad un cambio sostanziale di vita, tutto ciò che è stato torna a trovarti e nel mio caso questo “tutto” assume la forma di: errori, tempo perduto e altro ancora. Ti ritrovi esattamente “nel mezzo del cammino”, ma senti che forse, questo momento, a livello emotivo, avrebbe dovuto arrivare molto prima, avresti dovuto tu, farlo arrivare prima. Esiste per fortuna un “presente” che, se vissuto nel modo più appropriato, costituisce un antidoto in grado di anestetizzare paure e paranoie varie. La crisi, ad ogni modo è passata; se qualcuno mi ponesse uno strano quesito del tipo: ” Ti impaurisce più il tuo passato od il futuro?” io risponderei senza mezze parole: “Il mio passato”. E voi? Io, vado a godermi un po’ di presente, che in questo esatto momento ha la forma di musica, qualcosa cui non potrei mai rinunciare.

venerdì 19 novembre 2010

Goldrake e Willy Coyote

A
nche io ho aderito alla simpatica iniziativa di Facebook di utilizzare come immagine del profilo un personaggio dei cartoni. Come sempre, sono venuto al corrente di ciò in ritardo. E’ la settimana celebrativa dei diritti dei bambini; e dire che io, qualche anno fa, ebbi occasione di lavorare proprio alla preparazione di una sorta di Consiglio Comunale dei "piccoli" nell’ambito delle manifestazioni sulla Carta dei diritti del fanciullo. Dunque, ho fatto la mia scelta, ben poco ponderata e del tutto istintiva, ed è caduta su Goldrake. Quando penso ai cartoni, penso alla mia infanzia e in quel periodo a spopolare erano le montanare che amavano le caprette, gli orfani alla ricerca delle proprie mamme, e i grandi eserciti a combattere contro i malavitosi dello spazio. Almeno questo è quello che ci propinava la tv. I personaggi di fantasia, tuttavia (compresi i protagonisti dei fumetti) sono tantissimi e ognuno di noi ha il proprio preferito e magari, quello in cui si immedesima maggiormente. Come dicevo, Goldrake non mi rappresenta caratterialmente ma ha accompagnato moltissimi dei miei pomeriggi; dopo i compiti, c’erano i cartoni, non si sgarrava. Se però dovessi individuare un personaggio di fantasia nel quale identificarmi, non so come, ma mi sentirei bene nei panni di Willy Coyote. Ecco, vi sento già esclamare: “Uno sfigato dunque!” Beh dai, mettiamola così: Willy è sicuramente dotato di grande ingegno e di scarsa fortuna. Ora, io non voglio paragonare il mio misero cervello al suo, ma quanto ad arzigogolature della mente siamo eguali. Quanto si scervella quel poverino per raggiungere il suo obiettivo? Quanto ci mette in passione e quanto ama il rischio per catturare Beep Beep? Per cosa poi? Mai e poi mai riuscirà a vincere la più difficile battaglia: quella contro l'impossibile. Quell’uccello, anche per scrittura, non perderà mai e non morirà mai. E sempre per scrittura, anche Willy, pur precipitando dai Canyon e nonostante la sua impronta sul selciato lo faccia immaginare spappolato, lo rivediamo ripartire più in forma che mai. Se la scrittura divina mi rendesse immortale come Willy, probabilmente oserei di più, rischierei ancora, nonostante gli insuccessi. Ma, a differenza sua, io sono un mortale e di rischiare non è che posso permettermi ancora per molto tempo. Ma evidentemente di quel simpatico coyote conservo ancora una certa ostinazione ed un innato, inguaribile, sempre più accentuato, masochismo. Dunque, su Facebook mi vedrete Goldrake, forte ed invincibile. Del resto Fb spesso mette in luce la superficie umana; qui, sono Willy perché qui, su questo blog, c’è la polpa. Ah, non ditelo a nessuno: sapete qual è il mio genere di film preferito? I cartoons ovviamente.
Cado, cado, tanto poi mi rialzo.

giovedì 18 novembre 2010

Nostalgia da 56K

S
ono trascorsi circa dieci anni dalla prima volta che misi il naso sul web. Due cose mi tornano alla mente di quel tempo: il suono stridente del vecchio modem analogico cui faceva seguito, il senso di stupore e meraviglia che accompagnava l’apertura delle pagine. Non avevo nemmeno la più pallida idea di quanto quel mondo, chiuso in un vecchio monitor da quindici pollici formato 4/3, avrebbe cambiato le mie abitudini e in un certo senso, la mia vita. Per uno come me, cui piaceva molto scrivere e avere qualche rapporto epistolare a distanza, fu come si fosse improvvisamente aperta la scatola magica. Tutto sembrava così incredibilmente semplice, i contatti avvenivano alla velocità della luce, e aumentavano a dismisura. Non mi accorgevo che piano piano, mi stavo lasciando alle spalle alcune emozioni e sensazioni che probabilmente non avrei mai più avvertito, e tra queste il gusto semplice dell’attesa. Con il tempo, lo stupore e la meraviglia iniziali hanno finito per fare spazio all’abitudine; questo capita ed è inevitabile. Più volte mi sono soffermato su come molti aspetti della vita (rapporti umani compresi) passino attraverso queste fasi: entusiasmo, abitudine, abbandono. Internet ha bruciato i tempi in termini di comunicazione, rendendola assolutamente immediata ma contestualmente ha prodotto lo stesso effetto su alcune delle nostre più genuine abitudini. Ci è penetrato dentro, facendoci sì credere che tutto debba scorrere a ritmi vertiginosi ma facendo delle nostre più semplici emozioni un unico inutile fascio. Parlo probabilmente da nostalgico e sicuramente cado nelle più inevitabile delle contraddizioni, facendo io stesso di Internet, uso e abuso. Siamo parte di un sistema che corre, ma noi tutti desideriamo sempre più schiacciare il pedale del freno, dare fiato alle nostre emozioni. E cosa facciamo quando abbiamo bisogno di un po’ di svago? Dai, andiamo un po’ su Internet! Questo articolo è assolutamente una sorta di ammonimento a chi lo sta scrivendo, un tentativo ( probabilmente inutile ) di ricordare ( sempre e solo al sottoscritto ) che, di tanto in tanto un po’ di vita, bisogna viverla. Sono consapevole del fatto che esistono persone che sanno dosare il tutto e che di Internet ne fanno volentieri a meno. Ho provato a “tenermi” piuttosto sul generale perché purtroppo mi è capitato di constatare quanto, a prescindere dall’uso ( o dall’abuso ), Internet ci abbia cambiato. Nostalgico per nostalgico, se proprio non posso tornare al postino che porta la letterina, almeno mi sia consentito rimpiangere il vecchio, stridente suono del modem; e allo stupore che lo accompagnava.
Il caro e vecchio modem analogico

mercoledì 17 novembre 2010

Costi e benefìci

N
on avrei mai potuto fare il ragioniere. Un po’ perché i numeri e i calcoli in generale non mi sono mai piaciuti poi in secondo luogo, avrei probabilmente mandato in rovina la mia attività o quella di qualcun altro. Solitamente infatti, quando si tratta di esaminare a fondo una nuova situazione che mi si presenta tendo a fare esclusivamente l’analisi dei costi, tralasciando sistematicamente i ricavi. Non si tratta di pura dimenticanza, direi piuttosto che siamo in presenza, come al solito, di puro masochismo. Supponiamo che per ricavi si intendano i vantaggi esclusivamente materiali ( denaro, viaggi, benessere economico) e per costi le piaghe emotive (distacchi, rinunce …). Non è facile affatto far quadrare il bilancio in questi casi, non esistono trucchetti, soprattutto quando ci si chiede quanto il denaro valga più dei sentimenti. Al momento, allo stato attuale della nostra società, sembra che niente valga più dei soldi. Tutto si fa, tutto si lascia, tutto si accetta incondizionatamente per soldi. Lo so, questa è retorica, in parte comprovata da una certa prassi in voga nel sistema ma non può essere sicuramente estesa in modo generalista. Però, mi chiedo se sia lecito aver dubbi o se uno debba essere considerato un folle totale per il solo fatto di aver messo sulla bilancia, oltre ai soldoni, anche gli affetti. Costi e benefici. Una persona di mia fiducia, di grande fiducia, mi consiglia di focalizzarmi sui benefici; accolgo il consiglio perché purtroppo nella vita, dei soldi si ha bisogno, anche se con quelli però si finisce per pagare, oltre alle tasse ben altro tipo di vessazioni. Ora, io non ho davvero alcuna competenza su come si possa redigere un bilancio, quindi sarò giustificato se magari farò qualche piccolo sbaglio. Mi fossilizzerò sui ricavi per autoconvincermi che la mia qualità della vita migliorerà, e con la mia quella di alcune persone importanti che mi sono vicine. E dire che, e mi è capitato già di ripeterlo più volte, qualcuno in passato mi aveva definito una sorta di “ragioniere dei sentimenti”, come se io fossi così bravo da saper dare in base a quanto ricevuto. Ed invece il quadro è ben diverso: se mi fossero così tanto piaciuti i numeri, a 40 anni, mi sarei aperto una bella cartella di Excel e lì si, avrei indicato costi e ricavi. Probabilmente di questi ultimi non ci sarebbe stata traccia ma, non per dimenticanza. Non sono capace di fare bilanci, i bilanci mi fanno paura. I ricavi, o non li vedo o non esistono.. Nella mia situazione attuale, semplicemente non riesco a vederli; più che di un paio d’occhiali avrei bisogno di una lavata di capo e, data la scarsa peluria, non costerebbe nemmeno molto.

martedì 16 novembre 2010

Effetto boomerang

P

iù rileggo questo blog, più non mi piace. Talvolta, “ripassando” i miei scritti, mi chiedo se sia veramente io a scrivere quelle cose e se effettivamente quei pensieri siano lo specchio fedele della mia anima. Se fosse così, avrei paura. Perché non c’è niente di più tremendo che avere una prova scritta della propria inquietudine interiore. Questo blog mi si sta rivoltando contro. Perché scrivere è frutto di una riflessione e a sua volta la riflessione, di un momento di pace interiore; appunto, di un momento. E chi ha pensato, leggendo questi articoli, che io sia una persona tendente all’analisi, alla pacatezza, alla riflessione lenta, ha sbagliato tutto. Continuando sulla falsariga di ieri, ripeto che questo blog è un bluff. Sbaglio ad incolpare uno strumento; ad avere colpa è chi, di questo strumento fa uso e ( nel mio caso ) abuso. Lasciando quotidianamente qui le mie paturnie non mi aiuto affatto, a meno che io rinunci alla tendenza masochistica a rileggermi. Probabilmente l’introspezione si sta accentuando troppo e con essa il distacco dalla realtà che, per quanto sempre ignobile e asfittica ( parlo per me ) è pur sempre viva. Ed io nella realtà trasmetto agli altri ben altre immagini, ben altre impressioni. Di sicuro sono sempre stato una persona incapace di esprimere il proprio pensiero, la propria opinione, le proprie lamentele senza timore di essere giudicato. E proprio il timore del giudizio altrui mi rende neutro, un finto neutrale. Io so dove andare, da che parte stare, chi amare e chi odiare. Nella vita non sono mai stato forte al punto di esprimerle certe opinioni, e, chissà perché, scrivendo, mi riesce ancor più difficile. Non ho alcuna intenzione di passare per un buonista, senza carattere, disposto a perdonare tutti. Non sono così. L’equilibrio che qualcuno mi sta aiutando a raggiungere deve passare per un atteggiamento assertivo che non è , e non è mai stato nelle mie corde. L’arida vita che conduco mi ha portato gradatamente a perdere due dei miei più evidenti tratti caratteriali: l’istinto e l’orgoglio. Senza contare l’impulsività. Vorrei a tutti i costi riappropriamene, e per farlo ho davvero bisogno di alleggerire il peso dei pensieri, di tornare ad essere quella persona si, capace di pensare ma anche in grado di far sentire la propria voce e di lottare senza dover per forza cercare soluzioni salomoniche. Non credo più a chi dice che, ad una certa età la personalità è quella e non si può cambiare. Voglio dimostrare che non è così.

Boomerang

lunedì 15 novembre 2010

E’ tutto un bluff

A

Parigi avevo acquistato uno di quei soliti souvenirs di cui si conosce bene l’inutilità. Per la precisione avevo comprato a Montmartre una minuscola Torre Eiffel da utilizzare come portachiavi. Ieri ho visto quella torre spezzarsi in due tronconi giacchè la forza che ho impresso nel lancio dell’oggetto l’ha quasi disintegrata. Ieri ho fatto “Bum!”. Ieri sono esploso in una rabbia della durata di non più di cinque minuti e in quel mentre ho desiderato con tutto me stesso di essere altrove. Volevo trovarmi all’interno di uno di quei grandi capannoni abbandonati sperduti nelle campagne ove nessuno ti può sentire, ove lanciare in aria un urlo soffocante potrebbe al massimo rompere qualche vetro già ormai venato. Ho finalmente tolto il detonatore e, in men che non si dica, tutto quello che in questi mesi ho accumulato in termini di frustrazione, rabbia sopita e “modus agendi” finalizzato al quieto vivere, è venuto fuori. Intorno a me però non c’erano mura desolatamente riempite da graffiti, vetri venati, qualche siringa ed erbacce. Intorno a me avevo persone, cuori, anime, occhi. Avrei voluto uscire, fare “bum!” in totale solitudine poi, magari, tornare a casa facendo credere di essere andato a fare una piacevole passeggiata. Possibile che la mia tanto decantata serenità interiore su cui sto lavorando ancora, si stia rivelando un vero e proprio bluff. E’ un bluff perché fino a che l’animo sereno è tale non a causa di qualcosa che così lo rende bensì a titolo di necessità ( quieto vivere n.d.r. ), allora tutto è finto. E’ tutto un bluff. Sto bluffando con me stesso, continuo ad autoconvincermi di tante, troppe cose che in realtà non sono vere. Di vero c’è solo il lavoro su me stesso, quello si. Ci sto dedicando anima e anima, ma, ho paura di avere ancora da raschiare in fondo al barile. Continuano ad assalirmi paure ingiustificate, timori, ansie di ogni tipo, gli stessi fantasmi che sono tornati a trovarmi a distanza di circa tre mesi. Tutto è ciclico. Va via per poi tornare ed io improvvisamente perdo la corazza che mi sono costruito a fatica, abbasso le difese e lascio che tutto mi travolga. E’ curioso, ma del tutto istintivo, ciò che accade in questi frangenti. Improvvisamente la mia mente comincia a visualizzare delle immagini, dei volti: sono quelli di quelle persone che, vorrei affrontare in quel momento per dire loro che, una parte dei miei malesseri ( seppur piccola) è anche causa loro. Non meritano attenzione, lo so, ma è come si trattasse di un riflesso incondizionato, mi si ripresentano come quando mangi qualcosa che non digerisci. A loro rivolgo il mio più cordiale vaffanculo. Ora che ho fatto “Bum!” torno a bluffare, torno a far credere a me stesso (agli altri poco importa) di avere imparato la lezione, di aver capito tutto. Fino alla prossima volta.

poker-bluff

domenica 14 novembre 2010

Il cinghiale della pubblicità

L
e uggiose serate Novembrine invogliano a godere del calore domestico. E’ Sabato però, quello del turno buono: chi farei anche a meno di vedere, può permettersi di uscire e allora, vada per la cena. Da tempo volevo rannicchiarmi all’interno di una di quelle trattorie tipiche, dal sapore familiare fatto di semplicità tanto negli arredi, quanto nelle cibarie. Se non è pizzeria, che sia trattoria: qui io mi trovo perfettamente a mio agio. Come sempre accade ogni volta che esco e mi reco in un locale, mi guardo intorno e osservo, faccio considerazioni e riflessioni di brevissima durata. Devo comunque riempire i silenzi dei miei compagni di tavola. Ci si siede, e già l’ immenso piacere che si prova,a pancia vuota, nell’appoggiare il tovagliolo sulle gambe è frustrato dal forte sbadiglio di uno dei commensali; so già come si evolverà la serata. Di fronte al sottoscritto, una piccola lavagnetta appesa alla parete annuncia che avremo un’ottima scelta tra primi e secondi ed io opto per qualcosa di non facilmente digeribile: tortellini gratinati e lonza con polenta. Il tutto annaffiato da un ottimo Barbera della casa. Fino al dolce la cena scorre via rapidamente, un po’ per l’eccessiva celerità del servizio, un po’ perché, non avendo un bel nulla da dire, mangio e bevo senza soluzione di continuità. La domanda nasce spontanea: “ Rimanere a casa, no?” Colpa dell’istinto di sopravvivenza che muove nei momenti in cui, fisiologicamente senti il bisogno di entrare in contatto con il mondo, autoconvincendoti di avere una vita sociale e di saper coltivare relazioni umane. Ed ogni volta sai e ti rendi conto che non è così. Chiederti il perché di tutto e risalire alla fonte del problema sono attività che non riescono più a penetrare nelle maglie di una lucidità acquisita a fatica. Abbandonata ogni velleità di sopravvivere alla notte, provo a gettarmi sul letto; ricevo la visita del simpatico cinghiale della pubblicità il quale mi ricorda di aver esagerato con il vino e con la lonza. Probabilmente farò fatica a prendere sonno e avrò una intensa attività onirica…….omissis…… Niente di tutto ciò, la notte è trascorsa serena e, nessun incontro onirico con il cinghiale della pubblicità. Sono ormai secoli che recrimino sull’ennesima occasione persa, e la rassegnazione o meglio, l’accettazione consapevole della realtà finiscono per farmi star bene. Si riparte. Non è una cena a cambiare la vita.





sabato 13 novembre 2010

Messaggi a caso

Q

ualcuno chiami la neurodeliri. Da qualche tempo ho cominciato a fare ragionamenti a voce alta, anche se per ora solo all’interno delle mura domestiche. Non prendo medicinali, non sono in cura antidepressiva, ho un’alimentazione corretta, non bevo superalcolici e non fumo. I miei neuroni mi stanno probabilmente voltando le spalle, stanchi, oppressi dal loro continuo lavorare senza un fine apparente. Ed allora per dispetto, mandano messaggi a caso. Ho provato, in qualche momento di lucidità a chiedermi il motivo del pormi domande a voce: probabilmente, riesco a tenere in pugno l’ordine delle problematiche dando risposte della cui validità finisco per autoconvincermi. Cosa mi sta preoccupando? Al momento attuale appaio come una pentola borbottante cui è stato messo un bel coperchio sopra: provate a togliere quel coperchio dopo molto, troppo tempo e capirete cosa potrebbe accadere. Rimango dunque fermo, costretto a vivere giorni di attesa, di speranza e (sebbene io non voglia cedere alla tentazione), di programmi per il futuro; che, il futuro in questione , potrebbe essere anche più vicino di quanto io non immagini. E di fronte ad un possibile cambiamento di vita, cominciano a salire i dubbi, le paure, persino le angosce. Oh, benedetta ragione, se solo a volte tu fossi così avvolgente da sopire sentimenti ed emozioni..Ed invece, lasci sempre una porta aperta e fai entrare ospiti indesiderati che è dura poi cacciar via. Così, ti rivolgi a me e sussurri che nulla potrebbe cambiare e che anzi, tutto o quasi potrebbe migliorare; che sarei un pazzo a pensare a possibili svantaggi. I sentimenti poi partono in quarta, ignari dei limiti di velocità che la ragione sa invece rispettare alla grande; i sentimenti spesso sono guidatori sprovveduti capaci però di regalarti emozioni impossibili, nel bene e nel male. Mi turba dunque pensare ad uno sconvolgimento emotivo che forse non sono pronto a sopportare, mi sfianca l’idea che in un certo modo quella struttura portante su cui con fatica ho costruito la mia personalità più recente potrebbe anche solo scricchiolare. Esistono, in ogni caso messaggi che solo la sfera razionale sa inviare con estrema puntualità e sono quelli che, puntano alla nostra sopravvivenza, ad illuminarci su ciò che è meglio per noi. E allora, davanti a questo bivio, scelgo la ragione senza dimenticare che viviamo anche per amare e provare emozioni. Se sarò bravo a gestire tutto, sarò quasi felice. Sto facendo i conti senza l’oste, lo so. E’ arrivata la neurodeliri, vado.

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venerdì 12 novembre 2010

Genova, per tornare a respirare.

M
ettiamola così: il mare, diciotto gradi a metà Novembre e la focaccia al formaggio; ho appena elencato tre ( le più semplici ma non certo le uniche) ragioni per visitare Genova. Ed io, oggi mi sono accontentato di questo “poco”. Visitare un luogo, per il sottoscritto, prevede un rigoroso rituale: mappa della città tra le mani, predisposizione degli itinerari, individuazione dei luoghi di maggior interesse e, ovviamente, calcolo approssimativo del tempo utile per le attrattive cui dedicare maggior attenzione. Dimenticavo, macchina fotografica a spalla…Tutto ciò oggi non aveva però alcun senso; lo scopo della gita infatti era sostanzialmente quello di soddisfare la voglia di shopping della mia sorellina. Per un uomo ciò costituisce a tutti gli effetti “reato di autolesionismo aggravato dal rapporto di parentela”. Ne è scaturito un corposo camminamento che, muovendo dalla stazione Principe , passando per il porto antico e la Piazza de Ferrari ha visto la sua conclusione presso la stazione Brignole, e ritorno. Nel mentre, qualche scatto fotografico e un susseguirsi costante di “entra ed esci” con punte massime di sosta presso Rinascente e Mondadori (quest’ultima, apprezzatissima). Arrivare a Genova, per uno che vive al di qua del Turchino tra nebbia ed umidità costanti, è come sputare fuori tutto il fiato che si è conservato nei polmoni dopo mesi di apnea. Forse oggi, poco importava dare un’impronta culturale alla visita, è bastato tornare a respirare. Tra una vetrina e l’altra ho così rivisto con nostalgia i luoghi degli anni Universitari ripercorrendo di fatto lo stesso tragitto che ero solito fare al termine delle lezioni. E allora ecco Via Balbi, Piazza della Nunziata con la discesa che giunge a Via del Campo. Un crogiolo di vicoli ci conduce al Porto Antico e a questo punto il sole , fa capolino regalandoci una sensazione unica di tepore alla quale diamo vigore rivolgendovi i nostri pallidi volti. Il tempo di una sosta e poi via, si sale verso San Lorenzo e poi Piazza De Ferrari. Il vento la fa da padrone, un po’ di spruzzi dalla grande fontana prima di scendere verso Via XX Settembre. Accuso il colpo, la fila di negozi è lunga ma reggo alla grande conscio del fatto che, da lì a poco sarebbe arrivata la tanto agognata ricompensa. Imbocchiamo Via San Vincenzo e, non senza aver evitato un ultimo “entra ed esci” , punto dritto verso la più bella vetrina vista oggi: entro ed esco con un rettangolo di focaccia al formaggio, sublime delizia dei sensi. Allego al mio articolo qualche immagine a testimonianza del mio passaggio. Bello, tornare a respirare.
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giovedì 11 novembre 2010

La solita minestra

D
ando una rapido sguardo alle etichette relative ai miei articoli, balza all’occhio quella contrassegnata come “Amicizia”. Ho pubblicato poco più di un centinaio di post su questo blog e, sapevo che molti dei miei scritti avrebbero avuto proprio l’amicizia come tema dominante. Scrivo quasi sempre di getto, è raro che mi prepari un argomento, a meno che non mi capiti di trarne spunto da qualcosa che mi colpisce. A leggere il blog nel suo complesso comunque si riesce a tracciare una ben definita predisposizione del sottoscritto alle turbe, alle analisi di ogni singolo comportamento proprio ed altrui. E sull’amicizia, volendo, avrei da dissertare ancora a lungo. Questa volta parto dalla valutazione complessiva che ho effettuato relativamente ad amicizie sorte di recente, per via epistolare. Ho individuato due teorie piuttosto nette e differenti: la prima, sostiene che a lungo termine questo tipo di amicizie ( anche in vecchio stile cartaceo) perdono consistenza e di entusiasmo se viene a mancare il momento dell’incontro. La seconda, invece ( ed è la mia ) parte dal presupposto che, a prescindere dalla distanza tutto può durare, basta volerlo. Questa estate, anche un po’ per “testare” l’affidabilità della prima tesi, ho deciso di incontrare una persona con cui avevo instaurato un ottimo rapporto di “lettera”. L’ho fatto con piacere e aiutato in parte dalle circostanze. Ma l’ho fatto. Dopo circa un paio di mesi, e nonostante tutto fosse filato liscio, come si dice, questa persona ha fatto una scelta: sparire concedendomi solo due righe di commiato.L’ho presa male ma, il tutto è durato non più di un battito di ciglia. Sarà, ma a quelli che continuano a cercare amicizie sul web e che ritengono sia fondamentale poi un incontro per suggellare e dare un senso a tutto dico che non è sempre così. A volte si, a volte no. Mi fa solo ancora un po’ arrabbiare il fatto che un incontro dal vivo non abbia evitato di pormi davanti all’ennesimo silenzio, all’ennesima sparizione senza un minimo di dialogo chiarificatore. So che pretendo troppo e che si dovrebbe rispettare ogni scelta, ma allora, meglio tenere un profilo basso, meglio non ergersi a santoni predicatori, meglio agire e non teorizzare. Ed è anche per questo che, nonostante questo articolo dimostri il contrario, sto pian piano abbandonando le mie elucubrazioni sull’amicizia. E soprattutto ho smesso di pormi domande. Un certo disincanto, sintomatico del fatto di aver conosciuto tutto lo scibile in tema di razza umana. La solita minestra, o devo aspettarmi altro? Basta, spero di non parlarne più.

mercoledì 10 novembre 2010

Supplizi

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F

accio la barba due volte alla settimana ed è, ogni volta, un supplizio. Mi tocca, a meno che io non accetti il fatto di apparire più vecchio di circa una decina d’anni. E a complicare le cose, a causa della mia maniacale pignoleria, utilizzo schiuma e lametta. Le spigolature del viso non permetterebbero un risultato ottimale usando un rasoio elettrico, dunque, supplizio maggiore. Raramente salto il “turno” e quando accade è sintomatico di una generale situazione di scavolamento. Non vado più nemmeno dal barbiere; la decisione è giunta nel momento in cui ho avvertito un sostanziale imbarazzo nel pagare un finto shampoo ed una sveltina con la macchinetta tagliacapelli la somma di euro 17. E così, il supplizio è duplice, anche se la rasatura della capoccia ha cadenza settimanale. Quando ho cominciato a perdere i capelli, intorno ai ventitrè-ventiquattro anni, è iniziato un percorso psicologico di accettazione assai tortuoso e difficile. A parte i soliti stronzi che non perdevano occasione di fartelo notare, si era ormai introdotto in me l’amletico dubbio: “Ma un pelato, può piacere? “. Sorvolo sui supplizi più prettamente topici, finalizzati ad allentare l’agonia dei bulbi piliferi senza alcun risultato. A diventar vecchi talvolta si guadagna e con l’età sono stato introdotto gradatamente al mondo dell’autoironia e della consapevole accettazione. Addirittura, se anche solo volessi utilizzare quelle poche centinaia di capelli che mi stanno dietro ai fini un autotrapianto, non riuscirei a guardarmi allo specchio. Bene, dunque. Ho ottenuto il risultato voluto: non è questione di capello od altro, non è sicuramente questo a ghettizzarti. Ben più limitante è il modello esasperato di bellezza e perfezione che oggi impera e che porta anche una considerevole quantità di uomini, a frequentare centri estetici e a fare sedute di ogni tipo. Tutti (uomini e donne) dicono che lo fanno per piacere a se stessi e ci può stare. Ma quanti poi, in realtà lo fanno per stare a galla in un sistema che vuole l’apparenza al centro di tutto. Ognuno è libero di far ciò che vuole. Io penso che la linea di confine tra, volersi bene e insicurezza sia molto sottile. E questo è un male per molte giovani generazioni che ( mi è capitato di sentire ) pensano di non essere all’altezza per questo o quel problema. Amarsi e piacersi, è a mio parere essenziale ma questo non deve passare attraverso l’esteriorità quanto mediante il modo di comunicare e di essere presenti. A tutte quelle persone che, esagerano ( perché, tutto, a piccole dosi, è accettabile ) dedico questa frase che Anna Magnani un giorno rivolse al suo truccatore parlando delle sue rughe: “Lasciamele tutte, ci ho messo una vita per farmele”. Vabbè, ad ognuno il proprio supplizio.

martedì 9 novembre 2010

Trasgressione? Roba d’altri tempi.

Mirrorball
I

eri ho fatto una follia e, se si esclude un momentaneo senso di colpa, posso dire di essere soddisfatto, pienamente soddisfatto. Svelerò in seguito di cosa si tratta ma ci voleva uno strappo alla regola, avevo proprio bisogno di un “picco di vita” a fronte della solita situazione da elettroencefalogramma piatto. Siamo tutti un po’ folli, chi nella vita non ha mai fatto qualcosa di strano, quantomeno di impensabile alla luce del proprio modo di essere e di agire. Per quanto mi riguarda occorre risalire alla notte dei tempi per ricordare episodi trasgressivi, fuori dall’ordinario. Sono un sostenitore dell’idea per cui esiste un’età per ogni cosa dunque, più si procede con l’età meno si è portati ad andare oltre il proprio standard comportamentale. Nel mio caso però, quando a fare da sfondo alla propria esistenza c’è il deserto quasi totale, trasgredire può voler dire fare qualcosa che ai più risulta del tutto normale. Una delle cose che più desidero fare da tempo è sicuramente andare a ballare. Quando ne ero un assiduo frequentatore, un po’ per carattere e per timidezza, la discoteca rappresentava, non il classico luogo per “cuccare”, “rimorchiare” e via dicendo. Era, soprattutto, il luogo per eccellenza ove scatenarsi. Avevo, ricordo bene, molti amici che appena entrati si recavano al bar e poi svolgevano il loro compito: reggere con forza i pilastri portanti nella speranza che qualche coraggiosa si avvicinasse loro. Poveri illusi. E, quando il disc-jockey lanciava il famoso riempipista, io non potevo mancare. Il tempo passa, e me ne accorgo dal fatto che le mie ultime comparsate in discoteca mi vedono protagonista nelle sale revival. Quella di oggi non è musica; la nostra, quella dei ragazzi degli anni 80 si, eccome se lo era. Faccio due calcoli: saranno almeno cinque anni che non mi prendo il gusto di entrare in qualche locale con sale multiple, prendere la strada per la pista poi, un bel Cuba Libre e via, si riparte. Questa per me è trasgressione! Da ridere, roba da ridere. Ieri ho fatto un acquisto, è stata questa la mia follia. Niente di prettamente coinvolgente, ma, come mi è capitato già di dire in qualche articolo precedente, qualcosa di materiale. Quanto mi manca vivere certe situazioni; poi penso a quando, nel pieno dei miei “25” andavo a ballare il Venerdì che, ai tempi era la serata “adulti”. E ricordo i commenti: “Mamma mia, quanti vecchi stasera!” Chissà se mi sarà data l’opportunità di concedermi qualche bella trasgressione, rendendomi sì ridicolo, ma vivo. Aspetto solo che qualcuno apra la porta di questa gabbietta stretta in cui continuo a girare su me stesso sbattendo inutilmente le ali.

lunedì 8 novembre 2010

A corto di sogni

E
sole fu. Credo fosse ormai più di una settimana che pareva sempre notte. E con il sole è sparito un fortissimo mal di testa che stanotte mi ha fatto alzare alle quattro in preda all’insonnia. Ora che ricordo, mi sono dimenticato di prendere la mia pastiglietta di melatonina, che, (sarà anche un effetto placebo) il sonno me lo concilia di molto. Ultimamente ho comunque ripreso a leggere il mio libro in lingua Inglese, non appena mi butto sotto le coperte. Ci metto una vita a tradurre anche una sola pagina, faccio però un ottimo esercizio per mani e braccia nel passare ritmicamente dal testo al dizionario e viceversa. Le notti in sé sono abbastanza tranquille ma, di immagini oniriche, neanche l’ombra. Sognare si sogna, è naturale, fisiologico ma ci sono periodi in cui riesco a ricordare ed altri in cui, il nulla. Mi ha sempre appassionato interessarmi a come il nostro cervello lavora nella fase del sonno,quale possa essere il significato delle immagini che ci passano davanti mentre riposiamo, sul fatto che esista un nesso tra il nostro stato emotivo ed i nostri sogni. La mia immagine onirica ricorrente è l’acqua. Spesso assume tonalità di un marrone scuro, è impetuosa ed io ovviamente, mi ci ritrovo quasi sempre immerso. Sintomatico, questo fatto, di un’anima in perenne lotta per la sopravvivenza. Il mio rapporto con l’acqua però non è così conflittuale nella realtà, il mare soprattutto mi regala un’ineguagliabile sensazione di pace. Che dire poi dell’aereo? Qui la situazione si capovolge; non ho mai volato e sto cercando di convincermi a farlo. La mia paura? Semplice, quella di lasciarci le penne. Si, lo so che è statisticamente provato che gli incidenti in auto provocano assai più vittime, come so che il destino è in agguato sempre e in qualunque luogo. Ma, nel sogno io mi ritrovo a bordo e avverto una sensazione di innaturale tranquillità e, al risveglio provo pure un certo dispiacere rendendomi conto di non essermi spostato di un centimetro. Sarà, ma sto attraversando un periodo arido anche per quanto riguarda la mia produzione“notturna”. Mi piacerebbe conoscere il vostro sogno ricorrente, se riuscite a darne una spiegazione, se lo collegate in un certo modo al vostro “status” emotivo . So che per alcuni è già difficile dormire, ma chi è così fortunato da sognare, beh, raccontate le vostre esperienze oniriche!

domenica 7 novembre 2010

Ci vediamo in galleria

centro commerciale
S
ono proprio curioso di vedere cosa uscirà fuori da questo post dato che oggi, mi ero promesso sin da subito di non accendere nemmeno il pc. Una volta acceso poi, ho pensato fosse il caso di non pubblicare nulla; in una giornata come questa, dai soliti e dominanti toni grigi, sarebbe stato difficile produrre qualcosa di costruttivo o leggibile. Ed invece, per soddisfare il mio bisogno di luce ho acceso il mio portatile che mi schiaffa sul viso i suoi hertz, e ho aperto il solito foglio di Word. Ecco, fatta la doverosa premessa, cercherò di dare un senso se non altro al fatto di essere qui, abbagliato da questo freddo monitor. Di domeniche di questo tipo, ce ne sono state e ce ne saranno. Questa, è la classica da centro commerciale, da passeggiata nella galleria dei negozi, da coda alla cassa dell’ipermercato. Eh si perché, quando queste mega città non esistevano, la domenica non avevi neppure la possibilità di spendere. Ed ora, entri nel supermercato, inforchi il cestino e cominci a prendere le cose più inutili. Di recente ne hanno costruito uno a circa neanche un chilometro da casa, tanto che ci potrei quasi andare in pantofole, quanto è comodo. Pecco di sindrome da nostalgia, ma ai bei tempi, sotto casa avevo a disposizione nell’ordine: drogheria, lavanderia, latteria, tabacchino, merceria, macelleria. Ovvio che non esiste più traccia alcuna della loro presenza. Ora è inevitabilmente tutto sovradimensionato, in termini di spazio e di costi. Si spende anche di domenica, dunque. Ma certo, potrà anche tornare comodo a chi, durante la settimana lavora e non ha tempo ma mi piacerebbe sapere quanto, di ciò che viene speso oggi, in questa grigia domenica, poteva essere risparmiato. Non facciamo i conti in tasca; parliamo piuttosto di come le abitudini siano cambiate o meglio, di quanto gli interessi economici, la speculazione edilizia e via dicendo, stanno cambiando la nostra vita. Quando è stato approvato il progetto per la costruzione del centro commerciale vicino casa mia, si è pensato di costruire anche un bel quartiere residenziale, proprio a ridosso dello stesso. Si è detto: “ E’ importante che chi entra in città, abbia un buon impatto visivo". Ed infatti sono state edificate piccole palazzine dai colori vividi e dal prezzo impossibile: che siano tuttora quasi disabitate poco importa. Per realizzare tutto ciò è stata “azzerata” un’enorme area verde; quella che era una delle zone più silenziose della città si è vista in un attimo “spostata” al centro di un complesso ingarbuglio di vie trafficatissime. Ma almeno adesso, sapremo cosa fare durante sonnecchiose domeniche come questa. Ma siamo noi a cambiare o qualcuno vuole cambiarci a tutti i costi?

sabato 6 novembre 2010

Aprirsi al mondo

scrivereGrazie dell’input, Angela. Ho sicuramente grande fiducia nella mia interiorità, nelle sensazioni che provo, nei messaggi dell’anima. Un po’ meno verso il mondo; non ho grande considerazione del genere umano, non riesco a fidarmi. Per lungo tempo ho perduto giorni, mesi, anni della mia vita cercando l’impossibile ovvero, capire gli altri. Più cercavo di farlo, più perdevo di vista me stesso, la mia persona, persino le mie qualità. E ora che finalmente ( meglio tardi che mai ) mi sto conoscendo alla grande, mi rendo conto di due cose: del tempo perduto, ma soprattutto di quanto sia bello farlo. E di quanto, tutto ciò sia di rilevante importanza per relazionarsi, utilizzando un punto di vista assolutamente obiettivo. Terminata dunque la fase utopistica del capire, dare un senso alla persone e alle loro azioni, ora tutto mi sembra più lucido, più nitido. E con obiettività, mi spingo ad affermare che non mi dà più alcun fastidio notare alcuni tratti comuni alla gran parte delle persone ( o al meno a quelle con cui spesso mi sono rapportato ). Quali sono queste caratteristiche? Beh, innanzitutto poca propensione al dialogo, strumento che ritengo necessario per portare avanti qualsiasi tipo di rapporto. Inoltre, aggiungerei, la mancanza di pazienza, il fastidio che quasi si prova a dover ascoltare gli altri, la velocità con cui molti passano dall’entusiasmo per qualcosa o per qualcuno, alla totale indifferenza. Qual è dunque il senso di questo blog e la totale apertura del mio “io” al mondo: aver capito, finalmente, che è possibile fare qualcosa per se stessi e trarne grande giovamento. Aver soprattutto inteso ( e ce n’è voluta ) che non è sempre necessario un riscontro per ottenere conferma di qualcosa. Continuo a ripetere che non riempio questo articolo per ottenere qualche fantomatico riconoscimento, ma solo ed esclusivamente per il piacere di farlo. Tanto è vero che, a volte, parlare di sensazioni, di interiorità, costituisce un’arma a doppio taglio. Ci vuole un attimo a diventare tediosi, pesanti da reggere. Se anche solo per un attimo mi fermassi a riflettere sul fatto che alcune persone sono arrivate al blog e sono poi sparite dopo un po’, sbaglierei in partenza. Non trovo forma migliore per esprimere le mie sensazioni, forse l’ho già detto. Potrei apparire egocentrico e non lo sono. Sicuramente, l’idea che posso dare è quella di una persona assai poco riservata. Ma quante volte mi è capitato di esserlo, di dare solo a pochissimi la possibilità di conoscermi per poi ottenere cosa? Tanto vale aprirmi al mondo. Non so chi ascolterà questa voce, ma stare qui, a buttare giù questi pensieri è una medicina. Nonostante la noia, l’assoluta piattezza del tutto.

giovedì 4 novembre 2010

Questi o quelli per me pari sono

Sono ignorante e me ne vanto. Ignoro e mi ritengo fortunato ad ignorare. Non ricordo l’ultima volta in cui ho acquistato un quotidiano, anche i telegiornali mi nauseano. Mi manca tanto Sarabanda, quel bellissimo quiz musicale che andava in onda nella fascia oraria critica, quella dei Tg, appunto. Ho sempre più voglia di ignorare, non ho alcun interesse ad ascoltare (tantomeno leggere) le solite notizie, spalmate in modo spocchiosamente parziale. Da che mondo è mondo, esistono buoni e cattivi. Ricordo la grande lavagna e la maestra che, costretta ad assentarsi, assegnava ad uno di noi l’arduo compito di scrivere con il gesso i nomi dei discoli e quelli dei bravi. Se immaginassimo il nostro Parlamento Italiano come una vecchia aula dei miei tempi, probabilmente nessuno dei signori ( il solito eufemismo ) là seduti avrebbe diritto di assolvere a quel compito ma soprattutto, quella distinzione non avrebbe nemmeno più senso. Essi fanno parte di un sistema capace di assorbire e distruggere anche le anime più buone, quelle che conservano ancora un briciolo di valori, quali onestà e senso del dovere. Voci che si ripetono in questi ultimi giorni: persone che dicono e fanno stronzate, ed altre che si ergono a moralisti di turno, altri ancora ammoniscono pubblicamente (con le tavole della legge in mano) autocelebrandosi depositari di chissà poi quale verità. Chi è senza peccato, là dentro, scagli la prima pietra. E non c’è sistema, come quello della politica in cui si fa fatica a non fare di tutta l’erba un fascio. Se dovessi puntare su uno schieramento, sceglierei innanzitutto quello che limita lo scontro, che produce idee, che combatte un pensiero con un altro pensiero. Ma qui, si fa fatica ad individuare idee costruttive. Ci si tartassa a colpi di odio, di boutade, di richieste di scuse, ma di concreto, qui non c’è nulla. L’Italia è un paese che ama sguazzare nella polemica, che a quattro mesi dal Festival di Sanremo, ci spupazza già i marroni per chiederci se è giusto che si canti quella canzone od un’altra. Penso che questo sarà il primo e anche l’ultimo articolo in cui vagamente accenno al tema politico. Troppa tensione, troppo odio, tanta confusione. L’utente finale, quello intelligente, è abituato ad usare gli argomenti, quelli di cui chi è là, a Palazzo è sprovvisto. E mi riferisco ad ogni abitante della grande casa. L’utente finale, ha a cuore che gli argomenti ( se mai esistono ), si traducano presto in fatti. Siamo tutti nella stessa barca; capisco che si voglia reagire, si voglia imprimere una svolta. Se esiste qualcuno che crede possibile tutto ciò, lo metta per iscritto e si faccia avanti. Ma ho come l’impressione che, una volta entrato nella grande casa, il sistema se ne farà un sol boccone.

mercoledì 3 novembre 2010

La punta dell’iceberg

Oggi sono arido, non ho pensieri in testa, non mi viene in mente nulla di cui parlare. Ad un certo punto, fisiologicamente, il mio corpo (e la mente con lui) ripudia ogni tipo di dissertazione, di analisi, di forzato esame interno. Non ne posso più. Ma perché non mi viene bene parlare di politica, farei sicuramente meno fatica a riempire questi fogli bianchi, ma poi so già come va a finire. Ne sono totalmente estraneo, nel senso che non mi frega nulla di ciò che accade all’interno di quella enorme stanza dei bottoni. Forse invece dovrei preoccuparmi? Io, un puntino, un nulla totale? Frega a qualcuno di loro della mia esistenza, della mia sorte? No. E allora andatevela a prendere in quel posto tutti quanti. Non ho pensieri per la testa, dunque la mia anima razionale, riflessiva, lascia il posto all’istinto, a ciò che viene in questo esatto momento, a ciò che è probabilmente il mio “represso”. E di represso io ho un sacco pieno di roba, non si era capito vero?? Dovrei probabilmente cominciare a fare largo, a lasciarmi andare nel dire ciò che voglio e penso più direttamente, senza dover per forza mediare con la pacatezza e l’uso di parole dai toni tenui. Eppure, ciò mi riesce meglio dal vivo. Ieri un amico, che solitamente legge questo blog, ne ha dedotto il mio animo triste. Beh, come biasimarlo! Ma credo che triste, non sia l’aggettivo corretto. Mi definirei piuttosto un mix di malinconia, disincanto, realismo, e un pizzico ( ma solo un pizzico ) di frustrazione. In pratica, un uomo da buttare. Ebbene, come ho già detto, una piccola falla questo mio diarietto ce l’ha. Ed è una magagna insita nello stesso concetto di scrittura come mezzo di comunicazione. Appunto, comunica. Ma cosa? Se gli argomenti muovono dalla propria interiorità probabilmente chi vorrà conoscermi a fondo scoprirà la mia natura più vera; che si differenzia da quella più visibile in superficie. Ecco, io non perdo mai il sorriso, la battuta, la voglia di ridere. Ma, se si scende virtualmente, se si raschia il fondo del barile, ecco, troverete un bel baule pieno di ogni sorta di pensiero. Sono stato peggio, ora attraverso una fase, diciamo neutra, e sto bene. Non sono ancora in grado di fare le capriole, ma viaggio in acque tranquille. Penso che esistano molte persone di cui conosciamo la sola punta dell’iceberg e molte volte ci accontentiamo, ci fermiamo lì. Ma spesso là sotto, c’è ancora molto da apprendere, da conoscere. Ma la gente ha fretta, troppa fretta. Si stanca di tutto, e subito. Chi si ferma è perduto, no?

martedì 2 novembre 2010

Il solito copione

Il 6 Novembre di sedici anni fa, la mia città fu colpita da una violenta alluvione. Tredici le vittime, danni incalcolabili alle case, alle attività. Alessandria fu pioniera di quello che poi sarebbe diventato qualcosa di ordinario alla luce dei continui e rapidi cambiamenti climatici. Quel 6 Novembre e nei giorni immediatamente precedenti, non piovve tanto come ora ma, una serie di concause e la solita imperdonabile negligenza fecero il resto. Un intero quartiere a ridosso del fiume Tanaro fu sommerso da circa cinque metri d’acqua e detriti e, quando l’onda passò e si fece la conta dei danni, la situazione parve insostenibile. Individuate però le cause del disastro, si decise, come era ovvio e necessario che fosse, di lavorare “a monte” del problema. Il ruolo di capro espiatorio fu assegnato al vecchio ponte dalle strette arcate che, non avrebbe consentito un regolare deflusso della piena. Poi, in ordine decrescente di responsabilità, il mancato dragaggio del letto del fiume, gli argini ormai inesistenti, l’apertura di alcune dighe a monte. Si parlò meno di quanto l’uomo negli anni precedenti aveva “lavorato” sull’assetto del territorio, di quanto era stato tolto alla originaria situazione idrogeologica: edifici costruiti in prossimità ( troppo in prossimità) dell’argine del fiume, deviazioni del corso del fiume per la realizzazione della ferrovia. In questi giorni passano immagini non nuove; città sommerse, case travolte da colline che si sbriciolano. Si, è cambiato il clima, su questo non ci piove ( perdonate l’espressione fuori luogo ). Ma quanto è stato fatto in termini di prevenzione? Quanto si è lavorato sull’assetto idrogeologico di quelle che sono le zone a rischio? Siamo alle solite; piangiamo le vittime, ci abboniamo a contare danni, a dire le solite ovvietà. Abbiamo paura anche noi che, dopo sedici anni non abbiamo dimenticato, e non vorremmo mai dover dire : “Si sapeva, ma nulla è stato fatto”. Delle due, l’una: ci arrendiamo all’idea che l’Italia stia diventando sempre più un paese tropicale oppure contribuiamo tutti e cerchiamo di individuare le responsabilità. Non sono molto fiducioso, ma non posso non ricordare un aspetto incredibile e commovente di quei giorni nel fango: la solidarietà. Alessandria ebbe una gran voglia di reagire, di rimettersi in piedi, di ribellarsi e ci riuscì. Sembrò per un attimo che quel tragico evento avrebbe paradossalmente segnato il rilancio di una città dormiente e statica. Non fu così; nel tempo, la crisi, più di ogni evento naturale sarebbe stata capace di spegnere ogni velleità.



lunedì 1 novembre 2010

La quadratura del cerchio

2464827081_6fefd55ce1_oVattene, Ottobre. Vattene. Hai appesantito le mie spalle, la mia mente, il mio cuore. Non tornare più, e mi raccomando, lasciami soltanto quel che di buono, un’esperienza, lascia. Ottobre, grazie comunque per avermi fatto capire che Dio c’è, ed è in quella incredibile serie di eventi che mettono a dura prova la mente, il fisico, la capacità nervosa. E’ lì a farti capire che la forza di volontà aiuta a superare le montagne. E’ lì a dirti di non soffermarti mai su ciò che ti sta accadendo intorno, di non perdere il tuo tempo piangendoti addosso. Il tempo non aspetta. E’ lì a consigliarti, a ricordarti che, quando le acque si saranno calmate, la ragione e la lucidità ti soccorreranno e tutto apparirà così chiaro, ai tuoi occhi e alla tua mente. C’è sempre una sorta di compensazione nella vita: ci sono momenti, lunghi momenti in cui sembra ti venga tolto tutto, fasi nelle quali ti convinci che la giustizia, quella terrena, non esiste. Se hai pazienza, se hai la forza di superarli, avrai una gradita sorpresa. Ti scoprirai arricchito, ti accorgerai che tutto torna, che puoi ottenere la quadratura del cerchio. Io, ora, mi sento così. Non ci posso far nulla, e, sebbene dai miei scritti io possa apparire costantemente pessimista e incline all’analisi perpetua, mi sento bene. Voi a questo punto vi chiederete come possa sentirmi e quali toni i miei articoli potranno assumere, nei momenti più bui. Sorrido perché, giustamente, per quanto un breve passo possa già essere sintomatico delle condizioni del proprio animo, non rende mai completa giustizia. Ed è proprio in questo momento ( in cui come sempre lascio che l’anima detti a ruota libera le sue sensazioni ) che mi rendo conto di una piccola falla; immagino questo blog come il diario di bordo di una grande nave che affronta il suo viaggio senza una meta precisa, ma c’è qualcosa di cui probabilmente non potrò mai conservare memoria scritta. Ci sono sfumature, sguardi, gesti che non possono arrivare a chi mi legge, a chi, pur non conoscendomi si è affezionato a me, o meglio, alle mie parole. Non posso purtroppo andare oltre, e Voi non potete fare altrettanto, ma non posso che essere felice di tutto questo. Non possiamo scavalcare il muro che un freddo monitor rappresenta, non possiamo pretendere che si raggiunga quella perfezione che solo un rapporto umano vissuto in tutte le sue forme di espressione, può a volte regalare. Ma ringrazio ancora una volta, questo schermo, Voi e, la mia voglia di guardarmi dentro se oggi, mi sento bene. Piove a dirotto, è due giorni che non fa altro che piovere. Ed anche il suono forte della pioggia oggi, è musica per le mie orecchie.

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