domenica 31 ottobre 2010

Senza titolo

Ho aperto gli occhi e la sveglia, sintonizzata sull’ora legale segnava le 7.40. Evidentemente scatta qualcosa a livello di organismo ma, una volta sveglio, io nel letto faccio il matto. Ma che avete capito…L’impulso è di alzarsi, via, all’opera. Roba da matti, mi preoccupa questa incapacità a godere del tepore delle coperte mentre fuori piove. Faccio colazione, un po’ di ordine tra le mie cose, accendo la Tv. Vorrei tornare a letto ed invece mi prende l’impulso di scrivere. Dunque, in cosa consiste questo Halloween? Scusate ma sono del tutto ignorante sull’argomento, non sono avvezzo a celebrare feste in maschera, Carnevale compreso. Di questo Halloween non so nulla, suppongo non appartenga in alcun modo alla nostra cultura, alle nostre tradizioni. Un’americanata, giusto? Vedo zucche, gente che si maschera da vampiro, negli States i bimbi vanno in giro per le case e a chi apre loro la porta pronunciano : “Dolcetto o scherzetto?”. Stasera allora si festeggia, ed io ovviamente, rimango sempre una persona informata sui fatti e niente più. Sempre estraneo alla mondanità, del tutto assente laddove imperi il divertimento, l’evasione, la voglia di scherzare e di prendersi alla leggera. Che sia diventato un orso? Macchè, non provate nemmeno a dirmi che sono diventato asociale, pessimista, lamentoso, bacchettone. Ci penso già io. Stamane ho voglia di buttarla, per quanto non sembri, sull’ironia. In un certo senso i fatti dicono questo, trapela un briciolo di invidia verso la generazione di quelli che comunque hanno voglia di partecipare, di condividere, di sorridere. Ed io sempre qui, a riflettere, a teorizzare. Ieri, pensavo andasse peggio ma, evidentemente nel mio profondo più profondo stavo bene e ho goduto di una piacevole serata di evasione. Niente di incredibile, nulla di particolarmente trasgressivo. Incrocio sempre gli stessi occhi, le stesse parole, le stesse espressioni. E mentre sono lì, a tavola, e riempio il tempo ed il silenzio di fondo addentando una fetta di pizza, penso che non è il caso di prendermela poi così tanto. In fondo, la capacità e la voglia di ascoltare, di partecipare, di condividere, di sorridere non mi mancano. Hanno solo bisogno di qualcuno in grado di riceverle, di apprezzarle. Avete capito qualcosa di tutto ciò? Perdonatemi, stamane il foglio virtuale mi si è parato davanti ed io ne approfittato. Non tutte le ciambelle riescono con il buco, stare sotto le coperte no, eh?

sabato 30 ottobre 2010

Arrivederci, luce.

Non è che non ami le mezze misure o le sfumature in genere, ma il concetto di autunno non mi entra in testa. Meno che mai, quello di inverno ma, vorrei che al 30 di Ottobre io non fossi costretto già ad indossare l’armatura di ordinanza costituita da sciarpa e cappello. La pelata soffre le temperature rigide del mattino e solo da qualche anno ho preso la buona abitudine di indossare un berretto, giusto per attutire l’impatto. Sono infastidito da questo brusco e repentino arrivo del generale Inverno. E me ne accorgo, oltre che dalle temperature e dai fastidiosi addobbi natalizi che già adornano alcune vetrine, dalla luce che viene sempre meno. E’ vero, ce la siamo goduta dalla fine di Marzo, la luce, ed ora è arrivato il momento di restituire ciò che ci è stato solo prestato. Si si, abbiamo capito che questa notte torna l’ora solare e che dormiremo un’ora in più, magra consolazione. Tra poco, ci alzeremo, mangeremo, andremo a dormire e sarà sempre notte fonda, ci ritroveremo come se stessimo facendo un lungo viaggio attraverso una decina di fusi orari e sarà sempre buio. La mancanza di luce mi deprime, anche se probabilmente devo parlare per me che vivo al Nord, a 95 metri sul livello del mare in una posizione che si, sarà anche logisticamente al centro del triangolo industriale formato da Torino, Milano e Genova, ma dal punto di vista climatico è l’archetipo della depressione. Pazienza, tutto sommato il mare è là, dietro una curva ( per chi si muove in auto ) o al termine di una lunghissima galleria ( per chi sceglie il treno ). Vogliamo dimenticare nebbia, umidità, grigiore perenne? Genova è il nostro rifugio, sia benedetta Genova. Belli, ma terribilmente lontani, i tempi in cui, la possibilità di allungare di un’ora il divertimento sfrenato di un Sabato, regalava grandi emozioni. Ed ora? La metto sull’ironia, non posso far diversamente e dico che questa sera avrò a disposizione un’ora in più per annoiarmi, per rendermi conto che potrei essere altrove, anche se non so realmente, dove. E come sempre, per attutire il colpo spingerò quelle maledette lancette indietro di un’ora solo domattina per convincermi di poter dormire ancora. Si si, proprio io che, non credo di essere mai riuscito a dormire più di otto ore consecutive in vita mia. Chi può, si goda questa ora in più di sonno o di sfrenato divertimento.

venerdì 29 ottobre 2010

E la mente vola..

volaRischierò di essere ripetitivo in questi giorni e chiedo venia. Continuano a ronzarmi in testa gli stessi termini: confusione, attesa, aspettativa, speranza. Alla luce delle novità di ieri, legate alla graduatoria del concorso, temo dovrò sperare per qualche mese ancora. Non mi dispiace, come dicevo ieri, poter riservare una piccola parte di ogni giornata alla speranza. Le notizie si susseguono molto rapidamente, sembra che entro Aprile potrebbe arrivare la tanto attesa notizia. Entro Aprile e non oltre. Vada dunque per la speranza, quella non mi impegna più di tanto la mente, anzi, corre pari pari a me, mi accompagna, mi tende una mano dolce. Mi preoccupa il senso dell’attesa. La vita corre, e corre velocemente. Fortunatamente, aver appreso a fondo le tecniche del vivere alla giornata, mi ha risolto non pochi problemi. Esaurita dunque questa pratica, si ricomincia, ci si rimette in gioco, non c’è tempo per bearsi di qualcosa che ancora non c’è. E qui, a casa, è un attimo; basta guardarsi intorno per capire che occorre darsi da fare. La confusione regna sovrana; per un attimo mi torna alla mente quella settimana trascorsa in completa solitudine e nel silenzio più assordante. Ora, casa, è diventato un immenso deposito di oggetti. Si sta tinteggiando, è un marasma. Pazienza. Dormo anche poco la notte. Qualche giorno fa mi autoconvincevo che, una volta superato l’esame, inevitabilmente mi sarei concesso un po’ più di riposo almeno in termini di qualità del sonno. Niente di tutto ciò, mi sento ancora teso come una corda di violino, e sebbene la compagnia rimanga sempre assai ridotta, avrei proprio voglia di una serata all’insegna della distensione. Ed è quello che farò, magari domani sera, anche una pizza ed una birretta potrebbero aiutarmi a scaricare la tensione. Bene, so che nei prossimi mesi mi sarà ancora concesso di fantasticare, di immaginare una vita magari diversa. A volte penso a quanto potrei essere ancor più me stesso se fossi calato in un ruolo più consono, compatibile con la mia maturità e il mio modo di essere. Probabilmente sarei un uomo migliore, probabilmente chi mi conosce si accorgerebbe di quanto io, una volta liberato dalle catene della frustrazione, sia capace di dare, di sorridere, di librarmi in un volo senza meta. Penso che riuscirò ad essere comunque più leggero, nei prossimi tempi. Probabile che la mia mente, anche solo per un attimo, si eclissi, viaggi altrove. Mi scoprirò sognatore e lascerò a terra un po’ della mia razionalità. Auguro a tutti Voi, cari lettori, un felice weekend.

giovedì 28 ottobre 2010

Tanto rumore per nulla?

Probabilmente, anche questa volta, mi ritroverò a dire: “Tanto rumore per nulla”. Coltivare una speranza, forse un’illusione, a volte aiuta. Aiuta a vivere momenti, piccoli attimi di pura serenità. Non riesco ad alzarmi da terra né fisicamente, né con la testa, con l’immaginazione. La paura è sempre tanta, il rischio è grande. E per me, rischiare non è mai facile, troppo il timore di sbattere la testa contro il muro della realtà. Questi giorni, ancora molto caotici e nevrotici, li ho vissuti lasciando un piccolo spazio alla speranza. Non parlo delle illusioni legate a fattori puramente aleatori e casuali bensì a quelle connesse all’impegno concreto, alla dedizione, al merito. So che siamo in Italia e che non esiste mai ( o quasi ) correlazione tra merito e gratificazione; questi nella maggior parte dei casi, viaggiano su binari paralleli. L’impegno di questi ultimi due mesi è stato anche finalizzato, ancora una volta, a mettermi alla prova, a far capire, soprattutto a me stesso che ci sono , che posso dare, che posso ancora farcela. E in questi giorni ho scelto di dedicare anche solo dieci minuti della mia giornata alla pura illusione; giusto il tempo di verificare, di aggiornare una graduatoria immaginando di poter rientrare tra gli “eletti”. Mi sono permesso pure di fantasticare giorno per giorno su tutto quello che mi sarebbe piaciuto fare al solo pensiero di cambiare vita. E ci sono tante cose che vorrei cambiare, tanti progetti che mi piacerebbe portare a termine, c’era e c’è tanta voglia di volare. E’ stato bello. Chi mi conosce sa per certo che non amo fare passi più lunghi delle mie leve, non amo nemmeno provare a dare per certo il fatto che domani mi sveglierò. Ma questa volta sono stato bravo, ho dosato bene cuore e ragione, non mi sono lasciato trasportare da un eccessivo realismo e mi sono goduto attimi di pura e semplice serenità. Qualche minuto fa è stata pubblicata la famosa graduatoria finale. Torna il numero sessantotto, quello del mio anno di nascita. Ora non so quanto potrà valere la mia posizione, probabilmente dovrò attendere, sperare ancora. E l’attesa, la speranza, la delusione sono parte della nostra vita e vanno vissute, a mio parere, utilizzando una buona base di logica, di razionalità. Possiamo sognare tutti, possiamo sperare, nessuno ce lo impedisce. Io, per quel che mi riguarda, ho già concesso molto alla speranza, o meglio, all’illusione. Stare in pace con sé stessi è gia ‘ una grande conquista. Poi, ciò che arriva in più, e per merito, non può che renderci felici.

domenica 24 ottobre 2010

Tre numeri al lotto

lotto_estrazione_gennaio_2010Il vecchio adagio recita: “ Chi di speranza vive, disperato muore”. Non sono autorizzato a sperare perché, nel mio caso, l’illusione, l’aspettativa, sono sempre state foriere di altrettante delusioni. Rimango ancorato a terra ma non posso fare a meno di pensarci. La prossima settimana avrò un quadro più chiaro della situazione, probabilmente Mercoledì saprò se il mio sforzo sarà stato utile oppure no. Devo dire che non mi aiuta il fatto di provare ad aggiornare giornalmente la classifica dei candidati che mano a mano vengono esaminati e dedurne i miei spostamenti all’interno della graduatoria. Non posso rimanerne indifferente, non ci riesco. In questo modo so che mi alleggerisco la botta, attutisco l’impatto con quella che potrebbe essere una cruda realtà. Questo Concorso inizialmente rivelatosi utopistico al solo pensiero di prenderne parte assume ora aspetti e connotazioni più umane. Cosa bisogna mettere in conto: una buona percentuale di predestinati, ovvero coloro che quel posto di lavoro forse già ce l’hanno e la cui posizione aspetta solo di essere “formalizzata”. Poi, il fattore “ex equo”. Che brutta questa cosa; per legge, a parità di punteggio in graduatoria, il più anziano d’età viene scalzato. Senza considerare il valore attribuito ai titoli di servizio che, può raggiungere massimo, 15 punti. Ciò costituisce un gap per chi non hai mai lavorato presso la sede di Torino. Attualmente mi colloco tra il 29° ed il 35° posto della graduatoria. E’ stato esaminato il 60% dei candidati: posso permettermi di perdere non più di 20 posizioni, credo. Che roba. Io, che odio la matematica, le statistiche, i calcoli delle probabilità, mi sono persino creato un bel foglio di Excel dove ho sotto controllo la situazione. Cosa non fa la flebile speranza di un’occupazione a tempo indeterminato eh? E riesco tuttavia a vederla in modo divertente ed ironico. Vorrei provare a giocarmi qualche numero al Lotto, che ne dite? Anzi, li ricaviamo subito così, magari ve lo giocate anche voi. Allora, io direi: 50, che corrisponde al voto dell’esame orale; 6, il numero d’ordine corrispondente al mio turno e 19, il giorno dell’esame. Provo ad esorcizzare tutto dando spazio ai numeri. In verità l’attesa si fa piuttosto pressante, ci sono momenti in cui mi convinco persino di farcela, e comincio a fantasticare. E’ appurato: sto dando i numeri in tutti i sensi. Ho bisogno di riposo. Approfitterò del cielo plumbeo per dare un po’ di respiro ai neuroni. Mi mancherete, ma tornerò presto.

sabato 23 ottobre 2010

Passeggiata in centro

015 (2)Solitamente mi trovo ad attraversare il centro della mia città per puro caso e con la frequenza con cui i monsoni si abbattono sull’Italia. Quando accade, lo faccio a piedi. Ogni volta, rispetto alla precedente di rado noto elementi di novità in grado di attirare la mia attenzione. Ad esempio, sulla mia lista questa volta ho semplicemente annotato: il rifacimento del manto stradale lungo la via dello struscio; è costituito da lastroni di granito bicolore, grigio e rosa. Dicono, ricalchi quello presente a Verona. Non ho mai avuto la fortuna di visitarla, ma qualcosa mi dice che il contesto della città di Giulietta e Romeo sia leggermente diverso e di conseguenza pure l’effetto visivo. Poi, la lista si è arricchita del solito elenco di nuovi negozi di intimo ( tutti a comprar mutande e reggiseni qui… ) nonché di quello dei locali sfitti da tempo immemorabile. Le loro vetrine ed i loro interni, lasciati totalmente in abbandono dai proprietari, sono di colore grigio scuro che ben si intona con il grigio-rosa del granito stradale. Colpisce la mia attenzione un pullulare di postazioni per l’affitto delle biciclette. A quel punto mi scoppia una risata che devo trattenere per non essere di forza trasportato alla neuro-deliri. Mi domando e dico: “Cosa ci fanno tutte quelle belle bici parcheggiate in bella mostra se viviamo in una città il cui totem è l’auto?” Nessuno le utilizzerà mai. Qui, la macchina è e (sottolineo) SEMPRE rimarrà il mezzo di trasporto per eccellenza. Non si capisce perché si voglia inculcare una mentalità che nessuno ha intenzione di recepire. Ma non hanno capito che qui, se si potesse, l’auto la si parcheggerebbe sul balcone dell’ufficio? A me, di bici, ne sono state fregate tre, in pieno centro. E nonostante tutto, continuo ad odiare l’auto; come mai? Giungo quasi alla fine del mio cammino e, vedo quello che prima o poi avrei dovuto per forza vedere: un buon numero di operai comunali intenti ad abbellire il centro con le prime luminarie natalizie. Una botta al cuore. Possibile che non mi venga concesso di godere di qualche ammortizzatore? Possibile che non mi sia permesso attraversare questa fase di passaggio alla brutta stagione in modo dolce e lento? Insomma, solo ieri mi beavo in bermuda ed infradito ed ora è già Natale? Ma perché? Perché mi devono far notare che tra due mesi è Natale? Bèccati ste luminarie e taci. E tra un po’ metteranno la base per costruire un grande, grandissimo albero, e la giostrina per i bambini. Ma che gioia, che bello, tra poco comincerò a fare la lista dei regali perché non voglio assolutamente ritrovarmi all’ultimo momento a dover lottare con la forza per un parcheggio. Natale poi in fondo è quello , no? Vogliono prepararci, mettiamola così, sono buoni, hanno a cuore la nostra psiche. Deduzioni finali: tornerò in centro il 6 Gennaio, e aiuterò gli operai a togliere le luminarie Natalizie. Del resto mancherà un niente ai saldi estivi.

venerdì 22 ottobre 2010

Generazione di fenomeni

il-cubo-di-rubik-si-risolve-in-20-mosse-L-1Caro amico Claudio, mi hai offerto su di un piatto d’argento un assist cui non posso proprio rinunciare. Parlare di una generazione come la nostra, mi rende innanzitutto orgoglioso. Noi, ragazzi degli anni 80, abbiamo molto da dire e da raccontare ricordando alcuni aspetti della nostra adolescenza. I mitici “eighties” sono a mio parere l’icona, lo stereotipo di un modello di vita, direi, essenziale. Potrei sicuramente nella mia valutazione, essere condizionato da un inevitabile raffronto con il modello attuale, ipertecnologico, avvenieristico , proiettato, verso un graduale annullamento dell’umano a favore della macchina e del virtuale. E sicuramente, essenziale è un aggettivo che risente di questo paragone. Provo dunque a fermare il tempo, ad immaginare che non siano passati quasi trent’anni e faccio un viaggio immaginario nella mia adolescenza. L’essenzialità la riscopro innanzitutto in quelli che sono appunto, i rapporti umani. La comunicazione, aveva ben poche alternative per svilupparsi, e noi sappiamo bene quali fossero. Il rapporto “de visu” non poteva essere evitato, tutto ruotava intorno ai gesti, alle semplici parole, magari scritte su un foglio di carta da lettera, o lasciate ( e parlo per me ) su bigliettini nascosti sotto il banco di scuola. Sappiamo quanto sia repentinamente mutato il modo di relazionarsi, e quanto si sia perso in termini di realtà e concretezza. Siamo stati fortunati a poter “vivere” l’altro, a non avere avuto la possibilità di scegliere se scrivergli un sms, se lasciargli un messaggio su Facebook e via dicendo. Siamo stati unici e irripetibili. Rimango sempre legato ad immagini della quotidianità, ai nostri giochi improvvisati, al senso di solidarietà del gruppo, all’estrema semplicità dei gesti. Con il senno di poi a noi, teoricamente mancava tutto. Eppure avevamo ogni genere di strumento a disposizione in grado di renderci felici: una bici che diventava un motorino applicando un bel cartoncino tra i raggi, le partite a Risiko, le interminabili sfide a ping-pong al bar della piazza, le feste del Sabato pomeriggio con lo stereo e le musicassette, fare l’elenco di chi veniva al campetto per la sfida a pallone. La scuola: ricordo la mia maestra “unica”, non era una delle tante, era la maestra Giuseppina e basta. Ricordo quando proprio a scuola, la più grande trasgressione fu per noi “grandi” di 4a, inviare a “primini” una cartolina con il particolare ( immaginate quale ) del David. Fummo spediti dal preside con il rischio di fregarci la maturità. Ma io la rivoglio quella stupidità, rivoglio probabilmente la mia ingenuità di adolescente. Non sono cambiato solo io, è cambiata la sceneggiatura che, oggi, chiede di più, quasi pretende di più. Il mio articolo è diventato una sorta di “Noi che” in stile Carlo Conti, ma, quando parlo della mia generazione so che a tutti coloro che vi appartengono vengono in mente le stesse cose. Siamo nostalgici. Per quel che avevamo e per quel che abbiamo dato, siamo una generazione di fenomeni.

giovedì 21 ottobre 2010

Sull’ottovolante

La mia vita va così. Ci sono fasi ( lunghissime ) in cui assomiglia ad un elettroencefalogramma piatto, ed altre in cui mi sembra di stare su di un ottovolante. E per uno come me, che soffre di vertigini, stare lassù fa sempre male. Proviamo dunque a fare un giro sulle montagne russe: quando ci troviamo sopra la sensazione è che il tempo non finisca mai, o almeno questa sarebbe la mia percezione. Non appena scesi, ci vuole un po’ di tempo prima che il cuore cominci a lavorare ad un regime normale. Ed anche a livello cerebrale ci si sente, beh, un po’ storditi. Tutte impressioni perché io, fisicamente, sull’ottovolante non ci sono mai salito e mai ci salirò. Ma a volte è come se la vita mi prendesse di peso e, vedendomi magari annoiato, decidesse di regalarmi un momento di svago. Ho usato un verbo ( regalare ) ed un termine ( svago ) del tutto inappropriati, lo so. Comunque è così, non posso nasconderlo. Ora che sono sceso dalle montagne russe, e che il mio corpo riprende a lavorare a pieno regime, tutto torna ad uno stato di piattume. Attenzione però, quella sfera del cervello appositamente preposta alle seghe mentali, quella, non va in vacanza. Ora infatti, ripenso a ciò che è successo mentre mi trovavo sulla giostra e a come (mentre il sangue arrivava al cervello ad intensità doppia), ho valutato alcune cose e situazioni. Beh, pauroso come sono, mi sono comportato come se mi fossi trovato realmente sull’ottovolante, ovvero, desiderando ardentemente in quei momenti, che qualcuno mi tenesse la mano. Ma, nello stesso tempo, immaginandomi sospeso nel vuoto, ho impedito ai miei occhi di guardare verso il basso, ho tenuto il busto eretto e mi sono lasciato trasportare dal movimento vigoroso della vita in quegli istanti. Non avevo paura; non importava quanto mi trovassi lontano da terra, quanto avessi vicino qualcuno a sorreggermi, ho fatto tutto da me. Già ieri, affrontando questo argomento sono arrivato a conclusioni impensate sul sottoscritto: orgoglioso di sé, pieno di autostima, quasi quasi, un eroe. Ed un mio lettore ha giustamente sottolineato che, in fondo, alla fine di ogni giornata, siamo tutti un po’ eroi. Concordo pienamente. Quando provo a parlare un po’ bene di me, mi annoio molto, figuriamoci chi mi legge. Per cui, mi fermo qui. Le giostre non mi piacciono, non mi piacciono i voli pindarici, né il rischio eccessivo. Ora temo che dovrò fare un altro lunghissimo giro sul “ brucomela”, la conoscete no? Ci sarà tempo per qualcosa di più emotivamente intenso: e che sia qualcosa che mi regali solo gioia, sorrisi e tanta allegria. Io, aspetto fiducioso.

mercoledì 20 ottobre 2010

Orgoglio da vendere

Sto cercando di fare la convergenza ai neuroni per cui non so cosa verrà fuori da questo articolo. Quando ci si alleggerisce di un grande peso, soprattutto mentale tutto si affloscia, ti senti leggero e cominci a scaricare lo stress accumulato in ogni modo; il cervello, nel mio caso si prende una bella pausa. Questa prova segna la fine di un periodo orribile in cui l’unica grande cosa di cui sono stato capace è stata quella di mantenere sempre un briciolo di lucidità. Mi complimento da solo, mi elogio una volta tanto. Non solo per il mio 50/60 all’orale ( che probabilmente non sarà sufficiente ad ottenere il posto ) ma proprio per il modo con cui ci sono arrivato. Non so che dire, mi sento davvero un’altra persona da come sono riuscito ad affrontare tutto; persino i momenti immediatamente precedenti al mio turno li ho vissuti con estrema semplicità e con il sorriso sulle labbra. Certo è che, non è stato facile. Non sono certo un eroe, nella vita si affrontano prove decisamente più dure, ma ognuno di noi nel suo piccolo, affronta la realtà a suo modo. Quando però ti accorgi che i progressi sono stati davvero tanti, ne vai orgoglioso. Ecco, la sensazione predominante in me, in questo esatto momento è l’orgoglio. Sono fiero di me, sono pronto a ricominciare, a dare tutto. Venendo a ieri, che dire, stavo bene, sapevo di avere fatto un buon lavoro di preparazione e solo questo mi teneva al riparo da ogni evenienza negativa. Si sa che gli esami hanno un qualcosa di aleatorio, l’elemento sorpresa gioca un ruolo così come il ben più famoso fattore “c”. Questo concorso è stato bandito inizialmente per 10 posti, di cui 5 riservati a non so ben quali categorie. Ieri, poco prima dell’orale ci è stato comunicato che la graduatoria sarebbe stata estesa a ben 60 unità più ulteriori 20. Mi è preso un colpo. E quando sono uscito dall’aula, palesemente soddisfatto, per un attimo ho cominciato a fantasticare. Giusto il tempo di fare due calcoli, e di capire che sarà dura, durissima, rientrare tra quegli 80 . Scaramantico? No no, realista. Diciamo così, se rientrassi tra i primi cento sarebbe un bel traguardo considerando che in partenza eravamo 4.000. Magra consolazione, tanto studio per nulla. Se ragionassi in questi termini però crollerebbe lo stimolo ad andare avanti ed io di stimoli ne ho bisogno come il pane. A dire il vero, se ogni giorno potessi avere dal mondo che mi circonda una conferma del fatto che sono capace, che se voglio ce la faccio, sarei sicuramente un uomo più forte. Capace soprattutto di passare sopra a quelle cose per cui non vale assolutamente la pena regalare tempo e fiato. E qualcuno spero intenda.. Può essere che io debba ancora fare passi avanti in termini di autostima, ma quasi quasi comincio a credere di non essere poi cosi male!

lunedì 18 ottobre 2010

L’ennesima commissione

Domani, l’orale. In questi ultimi giorni, direi nell’ultimo mese, la frenesia dominante non mi ha neppure permesso di provare un minimo senso di paura. Ogni giorno dovevo riempire il tempo a disposizione inglobando nozioni su nozioni, nonostante intorno a me stesse accadendo di tutto e di più. L’obiettivo era : ottenere il massimo, a prescindere. Poco spazio dunque per momenti di timore, poco tempo per chiedersi come sarà, cosa mi chiederanno e via dicendo. Ora invece, mi assalgono le farfalle allo stomaco. Precisiamo: aver affrontato per venti volte una commissione d’esame Universitaria dovrebbe aver scacciato ogni forma di angoscia, di riverenza, ogni senso di insicurezza. Le commissioni d’esame non hanno mai commesso omicidi e nemmeno esercitato una sorta di violenza psichica sui candidati ( tranne qualche eccezione.. ). La paura è essenzialmente legata a fattori quali la timidezza, l’insicurezza, l’ansia da prestazione. Così, quando ho cominciato, qualche anno fa, a provare l’ebbrezza dei concorsi pubblici, mi sono nuovamente trovato al di qua della scrivania. L’età ora c’è tutta e pensi che forse dovresti essere tu a fare domande e non, a dare risposte. Dovrebbe farti anche meno paura il plotone di esecuzione, basta ad esempio immaginarlo in mutande o vestito in tenuta carnevalesca. Domani, sarò nuovamente lì, ad attendere il mio turno come un ragazzino, come una matricola, come tanti che ancora provano, nonostante tutto, a trovare una soluzione al proprio problema occupazionale. Ne ho viste di cotte e di crude, ho assistito a scene memorabili che, avrebbero potuto definitivamente farmi cedere dal proposito di regalare ancora un po’ di neuroni alla causa. Eppure si prova, si deve provare. C’è tuttavia una sostanziale differenza tra un esame Universitario ed una prova orale di un concorso. Spesso quest’ultima verte su molte materie, e obiettivamente non è materialmente possibile assimilare tutto quello che è il bagaglio nozionistico a riguardo. Se immaginassi di preparare Diritto Costituzionale, Ordinamento degli Enti locali e Diritto Amministrativo in un unico esame Universitario, impiegherei una vita. Sono tante le tecniche di autoconvincimento per cui tutto andrà per il meglio; che in fondo, vuoi mica ti chiedano quello che proprio non sai, giusto? Da tempo, è stata introdotta l’obbligatorietà della prova d’Inglese. Dubito della sua utilità, ma fino ad ora è quella che mi ha più divertito. Sicuramente domani, avrò un momento di ilarità al solo sentire la mia pronuncia very British. Beh, è tutto. Torino, ci vediamo domani.

domenica 17 ottobre 2010

Ridere di gusto

imagesC’è una cosa a cui il nuovo Enzo non vorrebbe mai rinunciare ed è : ridere. Se ci penso mi si rizzano i capelli che non ho, ma devo riconoscere che non rido di gusto da tantissimo tempo. Certo, potrei magari affittare un film comico di quelli che piacciono a me e voilà, il gioco è fatto. Troppo semplice e scontato. Ciò che a me manca è il fatto di ridere in compagnia, di passare una serata bevendo magari un paio di birre cominciando a sparare cazzate, una dietro l’altra. Ma sapete da quanto tempo non provo il piacere di partecipare ad una di quelle cene in cui il vino finiva ben presto che portassero i primi, oppure ad una di quelle nottate in birreria con la musica a palla? Ripenso a quell’estate di quasi dieci anni fa, fu lì che tutto cambiò, tutto andò a ramengo in termini di socializzazione. D’un botto si creò il deserto attorno a me e allora, provai a ricominciare. Tutto ciò che trovai fu però un insieme di situazioni personali complicate, di casi clinici: dovetti scegliere se provare a sopravvivere al prezzo di sopportare un peso abbastanza grande oppure rinchiudermi a casa. Scelsi la prima delle due soluzioni e, ne fui assorbito, finii con il diventare anch’io una persona asociale, incline al pessimismo, facevo parte di un gioco di cui non avevo idea del prezzo da pagare. Qualcuno me lo fece notare ma non diedi importanza. Sebbene nel frattempo siano poi, come sempre, cambiati gli attori, è su di me che si è ripercosso tutto. La mia espansività, la voglia di stare allegro, avevano ormai lasciato il posto all’introspezione, alla chiusura. In un certo senso la cosa mi ha aiutato, ma ormai intorno a me, si era formato il vuoto. Ed ora è sopraggiunta l’età a dare il suo contributo. Di sicuro, passare i quaranta dovrebbe nella maggior parte dei casi portare un po’ di saggezza e una capacità di analisi maggiore. Ma è come se io avessi già da tempo acquisito tutto ciò ed ora, vorrei, anche solo per un po’ lasciare spazio, non dico all’allegria ma al gusto di essere gioviale, sinceramente divertito. La vita ora “regala” responsabilità, momenti tristi e gli attimi di vera gioia sono sempre meno. Ecco, non chiedo tanto. Non fuggo da quello che questa età, in un modo o nell’altro, ti chiede di vivere ed affrontare; ma uno strappo alla regola, di tanto in tanto, non farebbe male. Beh, vorrei ridere, e ridere di gusto. Il proposito c’è. Spero di non ritrovarmi a farlo davanti al solito freddo schermo di una Tv.

sabato 16 ottobre 2010

Terra bruciata

2757845082_9335c8f696Intorno solo terra bruciata. Aridità ovunque. Ed io fermo, a guardare la desolazione dell’assenza di tutto, ad ascoltare il silenzio del niente. Ho voglia di ridare vita al terreno che mi circonda. Lo posso fare, non posso agire diversamente, lo immagino già quel campo che lentamente prende vita, colore, ed io che quotidianamente, lentamente, giorno dopo giorno, lo vedo crescere compiaciuto, soddisfatto. Andrò al supermercato e acquisterò tutto il necessario: una buona dose di sano egoismo, quel tanto che basta di cattiveria, e tanto, tantissimo amore per me stesso. Ho creato la desolazione intorno a me, ne sono consapevole. Ma ho incontrato a mia volta altrettanta desolazione, superficialità, egoismo, opportunismo, pazzia. Ora lo voglio, lo esigo, lo pretendo con tutto me stesso: via, un taglio netto, e si riparte. Ci vuole coraggio: non ho nulla da perdere, probabilmente qualcuno mi ha già perso e qualcuno mi perderà ma non se ne accorgerà nemmeno. Non ci si guarda intorno. Tagliare i rami secchi, comincerò da qui: agirò dunque con lo stesso criterio di chi mi ha insegnato ad essere così, mi ci ha portato dopo strenua resistenza, dopo inutili tentativi di far capire con chi aveva a che fare. Con il silenzio. Ripartirò dunque da quelle persone che considero degne della mia stima, persone che non ho mai visto e forse mai sentito, ma che godono di tutta la mia fiducia. Gli altri? Se ne accorgeranno? Forse no, ma intanto ho già preso la mia decisione: per loro non esisterò più. Nessuna seconda possibilità, nessuna dimostrazione di bontà e disponibilità. Riparto allora da un taglio netto ai rapporti superficiali, inutili, e faccio leva sull’unica persona che può regalarmi gioie e incondizionato affetto: io. Via allora, dalle apparenze, dalla quasi istintiva ricerca di relazioni come ancora di sopravvivenza. Ho deciso di non farmi mancare un po’ di superficialità, di leggerezza, perché no? Lancio il mio grido, lancio il mio “Chissenefrega”. Ma tenevi la vostra vita fatta di uscite e divertimento; tenetevi anche le vostre beghe, i problemi familiari, i vostri casini. A me non frega nulla. Ci ho provato a curarmene, senza fortuna. Scendo da questo treno affollato che mi ha tolto persino l’aria che respiro, mi ha provocato dolori alle mani per il tanto scrivere, mi ha seccato la gola per le parole di conforto, i ragionamenti a vuoto, e chi più ne ha, più ne metta. Mi aspetta un nuovo viaggio, e questa volta non lascerò che il treno passi. Salirò e sarò un uomo nuovo.

venerdì 15 ottobre 2010

Non svegliare il cane che dorme

cane_che_dormeEcco Venerdì, ma io vorrei fosse già Lunedì. E’ da tempo che salterei volentieri a piè pari il fine settimana. Faccio parte sicuramente di una ristrettissima minoranza ma, ultimamente, Sabato e Domenica sono per me sempre più simili agli altri giorni. Questo weekend arriva al termine di una settimana di merda che a sua volta è parte di un periodo di merda. E perdonatemi l’eufemismo. Solitamente io, nei periodi di tal fatta non mi faccio mai mancare niente; non è bastata la morte di mio zio con lo strascico emotivo che ancora oggi mi porto dietro. Non è bastata l’ansia legata a questo benedetto esame che se Dio vuole Martedì rimarrà solo un ricordo. Anche io, ci metto spesso e volentieri del mio: ad esempio, avrei potuto far tesoro del famoso detto :”Non svegliare il can che dorme”. Eh si perché, malgrado fossi preso da ben altre preoccupazioni, ho avuto modo di chiedermi che fine avessero fatto alcuni amici che non sentivo da tempo immemore. Generalmente io agisco facendo ogni genere di valutazione preliminare: il tempo a disposizione è poco, i contrattempi, persino qualche situazione di una certa gravità. Lascio dunque passare un po’ di tempo, poi passo all'azione. Per scoprire, il più delle volte che quel silenzio non era motivato da alcuna delle mie seghe mentali in atto. Anzi, quel silenzio, per usare un termine giuridico era “significativo”. Che vuol dire? Che probabilmente ( molto probabilmente ), se io non avessi fatto nulla, a me non sarebbe arrivata più alcuna notizia. E tutto sarebbe come sempre, morto lì. Insomma siamo alle solite: le persone si prendono tranquillamente il lusso di eclissarsi e magari di dirti come mi sono sentito dire: “Non ho più tempo”, oppure “ Io non riesco ad essere presente, se tu vuoi sei libero di fare lo stesso”. Se lo faccio io, giù critiche. Molto bene. Inizia a questo punto la presa di coscienza della stupidità insita in me. E non esiste differenza, come mi è stato osservato tra amicizie solo epistolari ed amicizie diciamo, reali. Perché è proprio da quella stessa persona conosciuta a seguito di un incontro, che ho avuto la delusione maggiore. Ma quale importanza nel vedersi! Qui, la differenza come sempre la fanno i soggetti, i loro cervelli, le loro azioni. Non dimentichiamoci del ruolo delle situazioni contingenti: a seconda del periodo più o meno intenso, si appare o si scompare. Ma quante volte si viene psicanalizzati, quante volte ti si legge la vita. E poi? Si, il senno di poi conterà relativamente, ma la lezione è stata assimilata. Ogni volta ripeto a me stesso: “Nessuna seconda possibilità”. Che sia arrivato il momento?

giovedì 14 ottobre 2010

La porta rossa

casagrandefratello011Che emozione ieri sera nell’assistere alle immagini trasmesse dal Cile. Finalmente, uno ad uno i minatori sudamericani hanno rivisto la luce. Non nascondo che un po’ di commozione c’è stata. Inizia ora per loro un momento difficile sotto il profilo fisico e psicologico, probabilmente questi giorni trascorsi nelle viscere della terra avranno provocato non pochi scompensi organici e mentali. Auguro a loro e ai loro familiari ogni bene. Il momento era quello della cena, ma un evento del genere ha avuto il potere di lasciarci immobili nei movimenti e soprattutto nelle parole che come sapete, a casa mia costituiscono il 99% dell’aria che respiriamo. Giusto il tempo di inforcare un bastoncino di pesce, poi è sopraggiunto un conato di vomito; il Tg5 ha mandato, in coda al servizio sui minatori, un nuovo contributo dal sapore (a detta della giornalista) più “leggero”. Lo hanno chiamato, se non erro, un parallelismo. Ed ecco, che le immagini del video si dividono a metà: a sinistra scorrono le sequenze della liberazione dei minatori, a destra…quelle della liberazione …..oddio, non riesco nemmeno a pronunciarla questa frase….dei pirla del Grande Fratello! Oggettivamente il Grande Fratello è una minchiata colossale, una vetrina di quella che ( al contrario di quanto ci vogliono far pensare ) NON è la società attuale, una palestra per formare uomini e donne oggetto che prima o poi finiranno nel dimenticatoio. Qualcuno di loro, ma solo perché ha avuto più disponibilità nel darsi, è persino diventato attore (!!!). E loro ci vogliono far credere che stare 100 giorni in una suite presidenziale dotata di mille confort e letti matrimoniali ove consumare già dal primo giorno di permanenza, crea scompensi eguali a quelli subiti dai minatori???? Ma noi cosa abbiamo scritto sulla fronte: “Giocondor”??? E allora, mi sono chiesto: perché, invece di far varcare loro la mitica porta rossa della casa, non proviamo a dare un ulteriore senso a quelle capsule? Perché questa manica di ipodotati, compresi autori conduttrice e opinionista non si vanno a guadagnare la pagnotta là sotto? Dai, è probabile che a 600 metri di profondità qualcuno riuscirà persino ad uscire migliorato e con sembianze e capacità umane. Eppure quasi cinque milioni di Italiani non riescono a rinunciare al piacere del vuoyerismo, e naturalmente ognuno è libero di vedere ciò che vuole. Ma non accetto che si continui a far credere che Noi, siamo loro. E soprattutto che quei 33 minatori possano essere anche solo minimamente paragonati a loro. Beh, congratulazioni al direttore, al redattore, a chi cavolo permette che si sprechi anche solo un minuto di Tg per una stronzata del genere. Altro che porta rossa, io propenderei per le capsule.

mercoledì 13 ottobre 2010

The show must go on

242904997Premetto che non calco la gradinata di uno stadio importante da circa 8 anni. Allora ero addirittura tesserato e percorrevo circa 200 chilometri, andata e ritorno, per assistere alle partite della mia squadra del cuore. Poi, fui costretto a “perdere” gli ultimi incontri di campionato a causa della squalifica del campo in seguito a violenti incidenti tra ultrà durante un incontro di cartello. Uscire dallo stadio fu, quell’ultima volta, piuttosto difficile e pericoloso. Ma da quel momento, decisi: niente più tessera. Pian piano, mi sono disamorato del calcio: ho continuato dapprima a seguirlo in Tv, magari in compagnia di amici, poi, sempre meno, tanto che ora saltuariamente assisto alle partite della mia squadra del cuore via radio oppure in streaming, sul web. Sento che non ho più l’entusiasmo di un tempo, e le ragioni sono diverse. Ho assistito con freddo distacco a quello che è accaduto ieri a Genova, prima dell’incontro tra la Nazionale e la Serbia. Dopo aver appositamente abbassato l’audio del televisore onde evitare di sentire le solite ovvietà e cazzate varie dei giornalisti di turno, ho elaborato a voce le mie riflessioni che ora, traduco in questo articolo. Il calcio non c’entra nulla con ciò che si è visto ieri. Il calcio è uno spettacolo che, a fronte degli enormi investimenti che su di esso le più svariate società effettuano, deve quasi sempre andare avanti. E ieri, in barba a ciò che stava accadendo, è ciò che si è provato a fare, per sette minuti. La federazione Serba, gli sponsor, sicuramente hanno premuto affinchè la partita avesse luogo. E quell’idiota con il passamontagna ripreso dai cellulari e dalle macchine fotografiche degli idioti che lo seguivano? Lo lasciavamo lì? Facevamo finta che nulla fosse accaduto? In realtà il “cretinetti” di turno sapeva bene che il calcio, è uno scenario troppo importante per non cogliere l’occasione di mettersi in luce, di evidenziare le sue ( le loro ) idiote idee ultranazionaliste. E alla fine c’è riuscito. Uno contro un bordello di poliziotti in assetto anti sommossa che non sapevano che altro fare. In sintesi, l’unica decisione giusta è stata presa e la partita non si è giocata. Ma, quanti anni sono trascorsi dall’Heysel? Credo, intorno ai 25, giusto? Quanto è cambiato da allora? Gli stadi sono più sicuri? La tessera del tifoso sta risolvendo il problema? No, assolutamente no. Manca la prevenzione: il problema come sempre è nelle persone. Non possiamo agire sul cervello di chi agisce in questo modo, qualunque sia l’ideale che lo muove. Di delinquenti effettivi, potenziali, in divenire è pieno il mondo. Esistono misure di prevenzione, di sicurezza; esistono provvedimenti che non vengono rispettati, pene non applicate, e alla fine, ci meravigliamo di quello che accade. E, poiché io ho poca fiducia e in chi le pene le deve applicare, in chi le deve far rispettare, in chi deve fare prevenzione e sicurezza ma soprattutto in quella che è una certa tipologia di razza umana (?), consiglio soprattutto a quei genitori che vorrebbero portare i loro figli allo stadio, di non farlo. Non è colpa del calcio. E’ colpa dell’uomo, sempre e comunque.

martedì 12 ottobre 2010

Uno schiocco di dita

Ah se bastasse un solo schiocco delle dita…. Alla faccia dell’essere razionale, introspettivo, analitico, sfacciatamente realista: io sono anche un sognatore! Ho la netta convinzione che l’ansia, le inutili preoccupazioni e l’ipocondria possono provocare danni maggiori delle malattie, per cui sognare è una medicina, un metodo alternativo per alleggerire la zavorra. Mi guardo intorno e vedo solo tanta voglia di farsi male, di rovinarsi l’esistenza. Le mie turbe saranno anche eccessive; le seghe mentali, le continue elucubrazioni sulla vita, sugli amici, sui sentimenti sicuramente producono effetti collaterali. Però, meglio analizzarsi piuttosto che vivere nel timore di qualcosa che non c’è, non esiste e non si può prevedere. Il quadro è questo: nel mio ristretto ambiente di vita, ansia è la parola d’ordine. Io costituisco un’entità capace di innalzarsi al di fuori del corpo rimanendo sospesa in una sorta di altro mondo anche solo per il tempo sufficiente a che certi discorsi si esauriscano. In quei frangenti mi sento come Samantha, la strega del telefilm anni 70 che, al solo schioccare delle dita effettuava viaggi spazio temporali incredibili. Vorrei rifugiarmi nell’incoscienza, nell’istintività e perché no, nella stupidità dei miei vent’anni. Ma chi non lo farebbe? Potessi riavvolgere il nastro ripercorrerei l’intero cammino, rifarei quelle scelte che già a quel tempo spesso possono risultare determinanti e segnarti in parte il futuro. Perché non c’è cosa che a vent’anni ti si può rimproverare di aver fatto o di non aver fatto. Non c’è ragione che tenga, non c’è analisi, c’è solo la perfezione dell’incoscienza. Se chiedessi a Voi lettori cosa non rifareste delle vostre esperienze di ventenni, probabilmente la risposta predominante sarebbe: “Nulla”. Ma ci si può davvero considerare fortunati ad aver vissuto i migliori anni della nostra vita in questo modo. Che dire però dei giovani d’oggi, molti dei quali vantano già una capacità introspettiva enorme e problematiche legate alla vita particolarmente importanti. C’è forse, un senso di maggiore insoddisfazione rispetto ai miei vent’anni. E’ allora vero che, la società del benessere crea spesso noia, insoddisfazione, apatia. Come vivranno questi ragazzi quando di anni ne avranno quaranta? Io, posso dire di aver goduto della mia incoscienza ed ora, inevitabilmente pago dazio e lo pago con la riflessione continua. Ma loro? Che riserverà loro la vita? Spero che voi ventenni impegnati già sin d’ora a capire chi siete e cosa volete dalla vita, possiate godere al meglio della vostra maturità. Bello tornare indietro, bello fantasticare, basta uno schiocco di dita.

lunedì 11 ottobre 2010

Immobile realtà

Si ricomincia. I miei stamane sono rientrati e la casa ormai è tutta un pullulare di voci e suoni. Ancora, a fare da sottofondo, l’ormai inseparabile martello pneumatico, ma risulta meno assordante a fronte dei decibel prodotti dalle nostre voci. Combinerò qualcosa? Certo che si, io proseguo per la mia strada, tanto ormai manca giusto una settimana. Torna mia madre, tornano i nostri ragionamenti ed i miei sfoghi. Si parla di tutto e l’argomento del giorno è stato: come è possibile gettare al vento dieci anni di vita senza accorgersene? Si può, a volte capita. Il momento in cui ti si presenta il conto è quello peggiore, quello dello sconvolgimento emotivo, della sensazione di inutilità. Poi, rimetti tutto in ordine, testa e cuore: e ci vuole tempo. Al momento conservo un’ottima lucidità, e questi testi non mi rendono giustizia giacchè sono alquanto monotoni, lagnosi, tutti uguali gli uni agli altri. Come ho più volte detto, provo sempre ad aspettare che sia il foglio a presentarsi e a suggerirmi di cosa riempirlo, ma a volte gli argomenti predominanti sono sempre e solo gli stessi. Pazienza. Le giornate sono immobili, non c’è nulla di concreto che lasci presagire un cambiamento. Il mio cervello, il mio cuore, le mie emozioni ora sono pronti a tutto, sono in assetto da combattimento ma, là fuori, io trovo il nulla. Niente per cui valga la pena di giocarsi un briciolo dei propri sentimenti, niente per cui io mi voglia spingere oltre, varcando quella soglia di abitudine e rassegnazione che ormai costituiscono un vero e proprio “status”. Dunque, mi sento sempre più come un angelo dalle ali tarpate, trovo soddisfazione in ciò che faccio per me, mi compiaccio di stare bene con me stesso, mi sento pronto a vivere la vita. Meglio tardi che mai, no? Lo ammetto, vorrei impegnare la forza che ho dentro in questi momenti in qualcosa che andasse oltre il raggiungimento di un obiettivo professionale. Vorrei avere una vita sociale. E se eccettuo ormai una, una sola persona a cui non posso che continuare a dire “grazie”, il resto è “tabula rasa”. Non debbo lamentarmi dunque, magari sarebbe il caso di rompere io, certi silenzi. Ripeto fino alla noia, il mio è un limitarsi a semplici constatazioni, non giudico, non valuto, non penso. Degli altri, dei loro comportamenti, non mi cruccio. Di tanto in tanto mi tornano alla mente facce, parole, affermazioni anche importanti, ma tutto rientra, come sempre. Mi manca quella grinta e quel fragore nel far sentire il mio punto di vista. Ma sapete che vi dico? Ad incazzarsi si fa fatica, ci si stanca pure. Quasi quasi comincio a fuggire: magari qualcuno se ne accorge..

domenica 10 ottobre 2010

Io non ho paura

In questa settimana dominata dal silenzio (eccezion fatta per il compagno martello pneumatico) ho portato a termine il mio programma di preparazione all’orale con dovizia e sufficiente tranquillità. Il telefono spaventosamente muto e l’assenza del solito viavai per la porta di casa hanno giocato un ruolo determinante. Ho atteso questa domenica, volevo riposare un po’ ed approfittare per mettere il naso fuori di casa: la giornata è piuttosto soleggiata e malgrado per la testa mi ronzino continuamente nozioni di diritto, me ne andrei a fare una bella gita in campagna. Sarebbe bellissimo, in compagnia della mia due ruote. Magari, dico io…magari! Lei è là, avvolta dal suo telo antipolvere. Anch’io sto ammucchiando polvere, mi si sta formando una sorta di ragnatela lungo tutto il corpo fatta eccezione per il cervello che, è sempre in costante, perenne, irrefrenabile movimento. E così, questa Domenica rifletto sul fragore dell’ autunno che in un attimo ha scalciato via gli ultimi ricordi estivi catapultandomi in una realtà fatta di tristezza e smarrimento. Che dire, lo spettacolo deve andare avanti. Ogni giorno lo sguardo punta dritto, la mente non ha scampo, gli obiettivi sono lì e possibilmente devono essere raggiunti, ne va della mia autostima. Il rinforzo porta motivazione e questa, forza di volontà, elemento indispensabile per mantenere un certo equilibrio emotivo. Incredibile: è davvero incredibile quanto io sia cambiato in questi ultimi anni. Lo so, sono ripetitivo, noioso fino allo stremo, ma un minimo di autocelebrazione mi deve essere consentita. Avessi capito prima quanto fosse essenziale non perdere mai di vista l’obiettivo, quanto fosse deleterio e distruttivo lasciarsi trasportare dagli eventi (anche i più insignificanti ) oggi, forse, sarebbe tutto diverso. La serenità di questi “anta” sta proprio in questo: consapevolezza, elaborazione delle situazioni nel modo migliore, valorizzazione del presente. Niente più rimpianti né rimorsi. Allora, amici lettori, ho ancora una settimana di tempo per presentarmi in condizioni dignitose davanti alla commissione d’esame. Non ho paura. Ho solo voglia di dimostrare a me stesso che posso, se voglio, dare sempre molto. Il giudizio degli altri? Poco importa se sarà una commissione a dovermi giudicare, loro si accontenteranno di un po’ di nozioni. Io ho già vinto e non ho paura.

sabato 9 ottobre 2010

Un dolce risveglio

sveglia2002-
C

hi non vorrebbe essere svegliato alle 8 di mattina dal dolce e soave suono del martello pneumatico? Se foste interessati sarò lieto di comunicarvi il numero dell’impresa che sta restaurando la facciata del palazzo confinante al mio. Ma potrà mai farlo di Sabato e forse ( lo saprò domani ) di Domenica? Questa mattina poi, dal terrazzo di casa mia ( lato cortile ) ho assistito per la prima volta allo spettacolo del lancio della spazzatura dal quarto piano. Vi assicuro che è qualcosa di imperdibile, per cui contattatemi e sarete miei ospiti. Se poi, durante le ore dedicate al piccolo riposo pomeridiano volete gustarvi un mix di musica arabeggiante sparata a tutto volume con le finestre rigorosamente aperte, beh, avete solo da chiedere. Tutti i giorni allo stesso orario, lo spettacolo si ripete.Siete di orecchio fino? Sono allora disponibili biglietti per un concerto di compressore, sega elettrica e trapano: avviso però che solitamente si svolge al Sabato, primo mattino, ovvio. Ma dove vivo? Ve lo sarete chiesti, no? Vivo nello stesso luogo da così tanto tempo per accorgermi che qualcosa è cambiato, forse tutto è cambiato. Ma cosa realmente ancora non so spiegarmelo. La razza umana sta pericolosamente regredendo allo stato di natura. Educazione, osservanza delle più comuni regole di convivenza, rispetto: qualcuno sa dirmi cosa sono? E dove possiamo avvertirne la presenza? Non sono generi che acquistiamo al supermercato, in linea di massima ognuno porta con sé il bagaglio educativo che la propria famiglia gli ha fornito. Troppo facile però trovare in essa un capro espiatorio. Io penso che qui, regni l’anarchia più assoluta: ognuno crede di poter fare ciò che vuole senza preoccuparsi affatto di chi invece le regole le rispetta. Mi sento inerme perchè non mi sento affatto protetto; Vigili, Carabinieri, Polizia, la risposta è sempre la stessa, vaga, disarmante: “Passeremo a verificare”, “Non possiamo intervenire se non c’è una denuncia”…Balle. Quello che voglio capire io è cosa ha generato questa trasformazione, cosa ha reso la nostra società un miscuglio di presuntuosi, arroganti, irrispettosi, violenti, e via discorrendo. Già a suo tempo avevo avuto modo di affermare che proprio questi episodi di piccola (?) inciviltà hanno grande importanza per poter capire cosa gira nel cervello delle persone. Sono semplici episodi di cattiva convivenza ma aiutano a capire quanto l’essere umano, di umano non abbia poi più nulla. E allora cosa dobbiamo aspettarci? Rimanere a guardare, lamentarsi, accettare tutto. Ad ogni modo, a me tutto questo fa schifo.

venerdì 8 ottobre 2010

Da Facebook al Blog: parte seconda

(Continua)..….Ed è proprio qui, su questo blog, che ho avuto la possibilità di ritrovare una dimensione più umana, un modo di rapportarmi al mondo più personale, volendo anche più privato. Ho dunque socchiuso la porta a Facebook: guardando attentamente al mio modello si possono trovare moltissime applicazioni che richiamano la community più famosa del mondo. Dunque non si tratta altro che della mia ennesima contraddizione? A dire il vero sto “sfruttando” Facebook per ciò che sicuramente merita: è un veicolo ineguagliabile di condivisione, consente un “passaparola” pressochè alla velocità della luce. Niente di meglio dunque per provare a diffondere i miei pensieri, a prescindere poi che essi suscitino interesse o meno. E’ qui che ho trovato la possibilità di esprimermi senza essere frainteso, senza dover utilizzare frasi sibilline o giochi di parole per comunicare uno stato d’animo. Ed è qui che ho potuto liberarmi del grande limite di dover o voler a tutti i costi cercare una conferma, un riscontro. Si fa fatica ad accettarsi, soprattutto quando riusciamo a vedere solo i nostri difetti, le nostre mancanze e quasi mai i punti di forza. Le qualità nascoste a volte si manifestano a noi senza che neppure avessimo provato a cercarle: ed è il mio caso. Iniziare a scrivere un diario ha come finalità primaria quella di esprimere sensazioni, stati d’animo. Ed io , provando ad abbozzare qualche riga ho fatto la piacevole scoperta di essere bravo a guardarmi dentro, di provare quasi un masochistico piacere nel scandagliare anche le più flebili emozioni. A volte penso che, a fronte dell’immobilità perenne che contraddistingue la mia vita reale esiste un mondo interiore in continua evoluzione, che chiede sempre di essere osservato, interrogato, tradotto in parole. Il passaggio dalla fase dell’osservazione a quella dell’esternazione non è facile. Più volte ho ripetuto quanto sia problematico, e guardarsi dentro e, scrivere di quello che si osserva. Qualcuno ha detto che mi esprimo bene e lo ringrazio di cuore. Cerco di dare un ordine apparente ai pensieri che hanno sempre direzioni contorte. Ma, quel che più mi preme è sottolineare quanto, la scoperta del blog sia stata casuale sebbene frutto di un’esigenza latente. E, con piacere mi accorgo di aver trovato una semplice via per essere me stesso. Non ho scoperto la luna, non basta certo scrivere semplici articoli per stare in pace con sé stessi ma, è un buon punto di partenza.

giovedì 7 ottobre 2010

Da Facebook al Blog: parte prima

facebook_logoPoco tempo dopo la mia iscrizione a Facebook avevo già qualche buon motivo per odiarlo. Si, d’accordo, ritrovare amici di vecchia data in alcuni rari casi si era rivelato anche bello. Ma, in breve tempo avevo intuito quale potesse essere il rovescio della medaglia; molti dei miei amici di penna, con i quali potevo godere di uno scambio di opinioni al  ritmo compassato e rilassante delle emails, avevano deciso di cambiare rotta. Motivo? Facebook, per l’appunto: la comunità virtuale appena scoperta, provocava crisi d’astinenza, non se ne poteva far a meno e così fui messo da parte: o mi univo alla massa oppure io e le mie lettere potevamo andare a farci un giro. E c’è stato a dire il vero anche un momento in cui ho creduto che il social network potesse essere un luogo di sopravvivenza, l’unico modo per poter avere tutto sotto controllo, lo strumento indispensabile per gestire ogni rapporto. Povero scemo, povero illuso. Ho attraversato anch’io dunque quella fase in cui l’assenza dal web provocava il timore di perdere ogni contatto, di non essere più in grado di mantenere “viva” un’amicizia. Quella lista di amici, quel numero che cresceva si stava lentamente trasformando in un termometro della mia autostima. Insomma, una situazione che penso non sia stato il solo a vivere, come del resto è normale che capiti quando il background è costituito da una vita di relazione precaria e insoddisfacente. Al tempo stesso mi rendo conto di quanto sia pericoloso e spesso controproducente pensare di costruire un’ipotetica vita sociale standosene di fronte ad uno schermo. Una malattia, dunque. Non parlo per tutti, è ovvio, non voglio dire che chi sta su Facebook od utilizza Fb in continuazione sia malato o altro: è un gioco e come tale va gestito, a meno che non si pensi che esso possa sostituirsi ad una vita malinconica e insoddisfacente. Quel frastuono a volte non consente di riconoscere le voci più belle, quelle capaci di arrivare al cuore, e tutto indistintamente si fonde in un unico rumore di fondo. Ad un certo punto ho avuto bisogno di silenzio, di recuperare una certa identità. Volevo comunicare qualcosa, ne sentivo il bisogno;il blog in questo senso è stata un’illuminazione..(continua)

mercoledì 6 ottobre 2010

Un segno a cinque stelle

virgo-ascendentiIeri mi è capitato di ascoltare un astrologo in Tv. E’ il solito astrologo, quello che si guadagna il pane passando da un canale all’altro e dicendo poi sempre le stesse cose, ogni giorno, ogni mese, ogni anno. Non ci vuole molto a predire il futuro, siamo capaci tutti, basta avere fantasia e buona dialettica. Il tipo, soffermandosi sul mio segno zodiacale ( Vergine n.d.r. ) lo classificava tra quelli “a cinque stelle” (?); diceva che i nati sotto questo segno stanno attraversando un periodo denso di emozioni forti e che, nonostante ciò, affrontano il tutto con impensabile equilibrio, soprattutto emotivo. Lo ascoltavo e pensavo che, in fondo, molte delle cose che diceva, tornano. E’ stato fortunato questa volta, gli è andata bene e ci ha preso. Se mi fossi trovato in quello studio televisivo mi sarei persino complimentato con lui. Nonostante la cronica ipercriticità verso me stesso, posso dire di essere soddisfatto di come sto agendo. Intorno alla perdita di un caro ruota tutto un vortice di emozioni, che nel mio caso avvolge e travolge alcuni membri della mia famiglia, mia madre su tutti. Lei è incontenibile, non riesce a trattenere nemmeno un briciolo di controllo e la capisco. Per un attimo mi sono sentito un verme quando, nei giorni più convulsi, l’avevo pregata di non caricarsi troppo a livello emotivo, di provare a gestire un po’ le sue reazioni. Non lo facevo con l’intenzione di impedirle di soffrire: lei si annulla totalmente, lei viene sempre dopo di tutto. Nel vederla così, probabilmente, ho rivisto me. Perché so che anch’io sono di tal fatta, è solo che ho appreso qualche piccola tecnica di autocontrollo. Allora mi sono chiesto se sto diventando troppo freddo, quasi per certi versi glaciale. Non credo, soffro egualmente, lo esterno meno. Ora che mia madre è là , vicina ai suoi cari, so che in un certo senso è più rilassata; la distanza è una maledizione, non credo affatto al detto che la distanza rafforza i legami. E’ una bufala colossale. Io, non riesco a rinunciare alla mia natura e così, quasi giornalmente, ora che non c’è, mi sostituisco a mia madre, prendo il telefono e parlo un po’ con mia zia. So che non mi sfianca farlo, perché il mio approccio è diverso da quello di mamma, e allora cerco di darle conforto. Insomma, come si fa a rinunciare a ciò che si è? Riesco a pensare che facendo leva su tutto quello che ho in termini di testa e di autocontrollo, posso affrontare tutto, anche da solo. Si si, avevi ragione, caro astrologo dei miei stivali: mi tocca riconoscerlo.

martedì 5 ottobre 2010

Cercando l’ispirazione

ispirazioneSe scrivessi i miei articoli su un foglio di carta probabilmente ora il mio cestino sarebbe saturo. Ho provato ad iniziare questo articolo più e più volte senza trovare il bandolo della matassa. Non devo per forza dire qualcosa di sensato, non devo cercare un argomento specifico, non c’è una sceneggiatura tantomeno un finale. Mi sto lasciando letteralmente trasportare dalle mani sulla tastiera e chissà che, prima della fine io non riesca a sviscerare qualcosa. Mi accorgo che ci sono momenti della giornata in cui, se avessi a portata di mano una penna ed un foglio probabilmente sarei un fiume in piena. Poi, quando magari decidi, come sto facendo ora, di sederti alla scrivania e buttare giù due pensieri, hai come una sorta di blocco. Scrivere è un’arte, anche se non sei un autore famoso, un poeta od un letterato. Tradurre in parole i propri sentori interiori è una questione di istinto. Lo devi ( o meglio, lo dovresti ) fare nel momento in cui scocca la scintilla, nel momento in cui non riesci ad impedire alle emozioni di fuoriuscire. Chi dipinge, chi compone versi o musica, credo rimanga sempre in attesa di un’ispirazione. Se poi consideriamo quanto sia complesso l’animo umano, quanto sia difficile già soltanto per alcuni esprimere le proprie emozioni, figuriamoci cosa può voler dire, cercare di rendere tutto questo, leggibile. Le emozioni, le turbe interiori non hanno forma, non conoscono punti né virgole. In questi giorni di solitudine, i libri, anche se si tratta di testi di diritto e non di piacevoli letture, mi stanno regalando un’insolita carica emotiva. Tanto è vero che ho ripreso in certi momenti il gusto di studiare ripetendo a voce alta. Era tantissimo tempo che non lo facevo, per diversi motivi; è vero che la ripetizione così fatta trasmette un senso di maggior sicurezza e consapevolezza delle proprie capacità dialettiche ma provoca al tempo stesso, un buon dispendio di energia e di tempo. Ma oggi, avevo voglia di urlare, di far finta di parlare con qualcuno, di immaginarmi davanti alla commissione. C’è silenzio oggi, il telefono di casa è stato muto, il cellulare quasi. E allora, mi sono detto: “ Oggi con qualcuno devi pure parlare, no?” Unica pecca, gli spaghetti al tonno troppo al dente.

lunedì 4 ottobre 2010

Dita frementi

Oggi al supermercato, due signore in coda alla cassa parlavano del più e del meno. In particolare, una diceva all’altra: “ Se la prossima estate sento ancora qualcuno che si lamenta del caldo…”. Fuori stava piovendo a dirotto, ed evidentemente questa signora, come me, non credo sia un'amante della stagione in corso. Sono discorsi da fila alle casse, da viaggi lunghissimi all’interno di scompartimenti, ma in effetti si è un po’ avvezzi a lamentarsi sempre, di tutto e di tutti. Ed io sono un lamentoso doc, non mi tiro certo fuori dal coro. Però, non credo di aver mai provato alcun senso di fastidio nell’indossare bermuda, t-shirt e ciabatte. Mi sono sentito coinvolto e partecipe dal dialogo delle due “sciure” perché, fino a qualche giorno fa ( e il blog mi è testimone ) ho evidenziato quella che è la principale caratteristica della nostra casa, intesa come focolare domestico: il caos, il rumore e via dicendo. Beh, i miei genitori sono partiti per la Puglia per salutare mio zio che ci ha lasciati, io lo farò in un secondo ( ma molto prossimo ) momento. E cosa posso dire al riguardo: che il silenzio che ora pervade questi pochi metri quadri è anche piuttosto imbarazzante. Non nego, non posso evitare di negare che, da egoista, questo silenzio mi fa bene; e fa bene alla mia concentrazione, ai miei neuroni che in questi prossimi quindici giorni devono produrre qualcosa di buono. Ma, in fondo in fondo, la sensazione che provo è strana. La cena non è più la cena, mi mancano alla fine certi tipi di discorsi. E allora, sarete voi a rimbrottarmi alla prossima nenia lamentosa riguardo al putiferio che solitamente qui a casa, domina. Non ho fatto finta di nulla, ho lasciato alla fine di questo articolo alcune considerazioni che ritengo più che doverose. La prima riguarda il mio ritorno sul blog. “Ma quale ritorno, direte voi”! E ne avete ragione, visto che ho “saltato” solo un giorno di pubblicazione. Beh, al sottoscritto è sembrata un’eternità e comincio a preoccuparmi di questa incapacità di trattenere un po’ le dita . E poi, un sentito grazie a tutte quelle persone (di cui non faccio nomi per imparzialità, tanto sanno che a loro mi sto riferendo ) che con un sms, con il loro commento qui, con un messaggio su Facebook hanno saputo darmi tutto quello che un amico può dare. A volte mi sento giù, a volte mi sembra di gestire tutto alla perfezione, a volte mi sento arrabbiato, incazzato. Capita se penso a quanto sia bella la vita ed altrettanto schifosa la morte. Capita se penso ad una bella frase che mi ha “regalato” un’amica: “ L'unica persona che prova profondo interesse per noi stessi siamo noi stessi.” Cruda, ma vera. Eventi di un certo tipo, esaltano la nostra forza, rafforzano la considerazione ( positiva o negativa) che abbiamo degli altri, fugano gran parte dei nostri dubbi. Sono tornato, e si sente.

sabato 2 ottobre 2010

Forza e coraggio

Carissimi lettori, vi sarete accorti del tenore pessimistico di questi ultimi articoli. E’ un diario questo, e mio malgrado ci scrivo quel che sento. E ciò che ho provato e sto provando ora è un senso di incapacità. Non so che dire, probabilmente il silenzio è la strada più giusta. Mi fido molto della forza e del senso di unione della mia famiglia in un momento così difficile, a livello emotivo. Io, che in questi ultimi anni ho imparato e sto apprendendo tutte le possibili tecniche per una gestione più accettabile delle varie situazioni della vita, devo mettere tutto a frutto. Quando si perde un proprio caro, quando quest’ultimo è lontano, il senso di incapacità è molto più grande. Poi, capisci che la vita va e deve andare avanti. Vorresti essere in cento posti per essere vicino a tutti, ed invece a volte ti ritrovi nel posto più sbagliato, quello da cui non puoi fare niente. Poi ci sono gli impegni inderogabili che la vita ti pone di fronte, e a questo punto devi tirare fuori tutto quello che hai per dimostrare di aver capito come si fa fronte a tutto ciò. Questo breve articolo è innanzitutto un mio modo per dire ciò che spesso a voce non riesci a dire ma rimane sempre impigliato nei pensieri. Se non avessi questa esigenza non avrei mai aperto un blog, giusto? Ma è anche un modo per comunicare ai miei amici più cari il mio grazie, e che non sarò presente come vorrei, nei prossimi giorni. Vorrei farlo con le email, vorrei farlo con qualche scritto, ma al momento, provo a chiudermi nel guscio di un silenzio che forse è il giusto onore a chi ho perduto. Sapete che ormai questi articoli costituiscono una medicina per me. E se non potrò farne a meno, sarete voi a pagarne le conseguenze ( mi sia concessa una piccola battuta ). Solo per dire che non sparisco, ma mi appresto ad affrontare un periodo importante. Grazie ancora a tutti quelli che ci sono, ci sono stati e sempre ci saranno.

venerdì 1 ottobre 2010

L’amico immaginario

blogVorrei chiamarti “diario” ma non posso, risulterei ( come in effetti sono ) un uomo fuori dal tempo. E allora continuerò a chiamarti “blog” sebbene io poco sappia del significato reale o fittizio di questo termine. So solo che a pronunciarla questa parola produce un suono onomatopeico che non mi dà piacevoli sensazioni. Potrei definirti anche, forse in modo esagerato, il mio amico immaginario. Ma si, dai, un po’ lo sei. Te ne stai qui, a raccogliere i miei pensieri, senza battere ciglio, senza scappare, senza dileguarti per poi sparire, sormontato dal peso dei racconti. Allora sei proprio un amico, caro blog. Ed in questi frangenti turbolenti, in cui le sensazioni scorrono alla velocità della luce senza soluzione di continuità, e sembra ( ma non è poi così ) di non avere mai troppa lucidità, ti guardi intorno. Chi c’è? Chi non c’è? Dunque, solitamente se provo a cercare trovo chi so c’è sempre stato e ci sarà sempre; e non trovo chi magari pensavo avrebbe potuto esserci . Il cruccio finisce nell’istante in cui prendo atto della cosa. Non sono e non sarò mai al centro dell’attenzione dei pensieri di tutti, questo è l’errore di valutazione che solitamente commette non l’egocentrico bensì , a parer mio, l’indifeso, colui che ha sempre bisogno di sentirsi considerato, di sentirsi circondato da affetti più o meno reali. Questo è il punto: nei momenti di sconforto si accentua il senso di fragilità di ognuno e viene quasi istintivo dare un’occhiata in giro. E non c’è peggior cosa che valutare il senso di amicizia o l’affetto di qualcuno in base alla sua presenza od assenza nei momenti topici. E’ vero, sto smontando il vecchio adagio “L’amico si vede nel momento del bisogno”. Ma io, per fortuna, conto sulle dita di una mano ( e nemmeno su tutte ) chi c’è ora, c’è sempre stato, e ci sarà sempre. Qualità, non quantità, e lo ripeto ancora. Ho dei limiti grandissimi, enormi difetti. Sono pretenzioso, e poi mi chiedo quanto io, sarò capace di fare altrettanto a fronte delle difficoltà di chi mi sta intorno. Ne sarò capace? Forse si, forse no. C’è però un elemento, un qualcosa che mi fa stare tranquillo con la coscienza: appaio ipercritico, teorizzo molto in termini di amicizia. Ma mi piace evidenziare e constatare i fatti altrui e, nel modo che credo più obiettivo possibile, ne traggo considerazioni. Non mi piace riempirmi la bocca di belle parole sul mio conto. Ho provato a dare nella vita, ci ho sempre provato. Mi disgusta solo, non il fatto di non aver avuto riscontri, quanto i comportamenti considerati in sé e per sé. E’ la vita, basta saper guardare avanti senza girar troppo la testa.

LinkWithin

Related Posts with Thumbnails